Modernità e antimodernità
di Enrico Caprara
Abstract
Da uno studioso e attivista di Movimento Zero queste belle pagine.
Il disagio del nostro tempo
Ciascuno di noi, evidentemente, può sentire per sé. In
una certa situazione – o più in generale, riguardo un
certo modo di condurre l’esistenza – ci si può
guardare dentro e stabilire, con buona certezza, se vi sia benessere
oppure insoddisfazione.
All’interiorità degli altri non si può invece
pervenire. E’ possibile, tuttavia, almeno avvicinarsi. Per questo
motivo, per ipotizzare con avvedutezza ciò che provino le altre
persone – e rispondere così a un’esigenza che si
pone ineludibilmente, quella di giudicare nel complesso
l’ambiente in cui vivo – io scruto le facce dei passeggeri,
all’inizio della giornata in metropolitana, cerco di recuperare
frammenti dei loro discorsi…
La prima mattina è, per l’uomo contemporaneo, un momento
particolare e delicato. La notte, i sogni, hanno “sgomberato la
mente”, ponendolo in una maggior lucidità di coscienza
– condizione che, se vogliamo paradossalmente, determina un
più marcato turbamento. I visi della mattina hanno
un’espressione, le parole un tono, che potrebbero venir riassunte
con il termine: perplessità.
Questa perplessità verso la propria esistenza la si può
affrontare o fuggire: nella grande maggioranza dei casi viene fuggita.
Per fuggirla, il trucco è di spostare l’attenzione dal
sentimento interiore – spiacevole, disturbante – alla
“positività” del vivere, ovvero ai fatti di per
sé, alle “cose concrete”, agli obiettivi da
perseguire ed alle tecniche adeguate per raggiungerli. La giornata e la
vita come uno scorrere di “progetti”, la cui caratteristica
propria è di non portare mai un ottenimento compiuto.
Viene opportuna, in questa prospettiva attivistica, l’assunzione
di sostanze stimolanti – da quelle, più o meno, naturali,
agli additivi chimici alimentari, ai farmaci, alle droghe – che
servano a potenziare le facoltà psichiche, facilitando
così la concentrazione sopra gli aspetti “operativi”
dell’esistenza, e l’oblio invece della condizione interiore
più profonda. Oblio che non rappresenta, ovviamente, una
soluzione. Rinviato dall’oggi, il disagio si ripresenterà
puntualmente domani, caricato di una intensità e di una pena
ancora maggiore.
Il nostro tempo è la Modernità – Le
possibilità reali che ci troviamo date, gli schemi di valori che
orientano generalmente le scelte, è ciò che vogliamo
chiamare – affinché il termine abbia un significato quanto
più possibile compiuto – Modernità.
Per cercare una caratterizzazione, sintetica ma anche significativa,
del complesso di situazioni concrete, aspirazioni, attività,
giudizi, che costituiscono la Modernità, può essere forse
utile il paradigma di tre categorie, tre concetti fondamentali, tre
idee-guida che sottendono il nostro tempo: Utilitarismo, Progressismo,
Scientismo.
Prendiamole, almeno brevemente, in esame.
Per Utilitarismo è opportuno intendere, anzitutto, la credenza,
e l’atteggiamento esistenziale, secondo cui è data
sostanzialmente una proporzionalità, diretta e inevitabile, tra
godimento o possesso di cose materiali e benessere dell’uomo.
E’una mentalità che si trova splendidamente – per un
verso, spaventosamente per un altro – espressa
dall’economista del XIX secolo Jean-Baptiste de Say: –
“La felicità di un individuo è proporzionale alla
quantità di bisogni che egli può soddisfare, ovvero la
quantità di bisogni che un individuo può soddisfare
è a sua volta proporzionale alla quantità dei prodotti di
cui può disporre; di conseguenza la felicità di un
individuo è proporzionale alla quantità dei prodotti di
cui può disporre.”
La Modernità ha poi, come sappiamo bene, il
“mito” del Progresso. Ciascuno di noi deve progredire, la
Nazione e l’Umanità nel loro complesso – cose ancora
più importanti – devono progredire. E’
d’obbligo cioè l’insoddisfazione, il dispregio per
quel che vi è stato, e in definitiva per quel che vi è
– quindi anche per quel che si è – poiché
tutto deve essere superato dal “sempre nuovo” – che,
sulla base della stessa idea di Progresso, sarà tuttavia
“sempre insoddisfacente”.
Quale sia l’origine di questo dovere del Progresso,
l’ideologia della Modernità non lo indica compiutamente.
Rimane singolare come l’Illuminismo, venuto a sgomberare il campo
dai pregiudizi, abbia fondato il pregiudizio del Progresso. Scrive il
filosofo Immanuel Kant in Risposta alla domanda: che cos’è
l’illuminismo? – “la natura umana, la cui originaria
destinazione consiste proprio in questo progredire”. E non
ritiene di dover aggiungere altro.
A partire dal XVII secolo, con la nascita della “Scienza
Moderna”, la conoscenza della Natura è ritenuta possibile
solo per via di fatti sperimentati ed organizzati in forma
logico-matematica. I fatti e la forma logico-matematica vengono
così a costituire una conoscenza oggettiva ed universale.
Proseguendo nel suo cammino, la cultura della Modernità –
o almeno la parte preponderante di essa – ritiene di poter
estendere il campo della Scienza, dalla Natura in senso stretto
all’intera realtà, compresa quella propriamente umana,
mediante l’articolazione e lo sviluppo delle varie Scienze
specifiche (Fisica, Biologia, Psicologia, Sociologia…) Nella
prospettiva dello Scientismo tutto diviene quantificabile, misurabile,
prevedibile, oggettivabile… E allora, come scrive Umberto
Galimberti: – “[Gli individui] Impareranno
cos’è normalità e follia dallo psichiatra,
cos’è salute e malattia dalla clinica, cos’è
sessualità e perversione dalla psicanalisi, cos’è
ordine e disordine dalle scienze sociali…”
Un’Antimodernità per l’oggi – Il nostro tempo
si chiama Modernità. Le tendenze generalizzate, i contesti che
si ritrovano dati, i modelli che siamo invitati (indotti) a seguire,
gli schemi di atteggiamento e di comportamento, i valori (o
pseudo-tali) e i disvalori, le idee fondamentali che orientano
(disorientano), costituiscono la Modernità.
Partendo da una considerazione e valutazione del presente, si
può poi vedere come determinate forme dell’odierna
Civiltà Occidentale, ovvero della Modernità, si siano
affermate nel tempo, in un certo andamento storico; si può
constatare come aspetti negativi dell’attuale nostra
civiltà – e li si giudica negativi in quanto portatori di
cattivo vivere alle persone – fossero assenti in civiltà o
fasi storiche che ci hanno preceduto (le quali, peraltro, non
necessariamente si riscontrano perfette, o tali da venir assunte come
modello complessivo).
Nel corso degli ultimi due o tre decenni, e in particolare negli ultimi
anni, diversi intellettuali hanno – con accenti anche diversi
– sottoposto a critica e contestazione la Modernità, nella
prospettiva indicata sopra, cioè partendo da una considerazione
e valutazione del presente, senza pregiudizio di favore rispetto a
forme di civiltà precedenti, e in questo senso hanno delineato
quella che potremmo definire una Antimodernità per l’oggi.
Prendiamone in considerazione, molto brevemente, alcuni.
Ivan Illich è una singolare figura di prete (ma in rotta con le
autorità ecclesiastiche), intellettuale, fondatore di
comunità, riferimento sociale. Di padre croato e madre ebrea
austriaca, aveva studiato istologia, mineralogia, storia, psicologia,
storia dell’arte, teologia… Ha vissuto fra l’Europa,
gli Stati Uniti, il Sud America, arrivando a parlare quattordici
lingue. In tutta la sua pubblicistica, e attività concreta,
mostra una profonda avversione per il portato culturale della
Modernità: dall’opposizione alla “crociata per lo
sviluppo” lanciata negli anni sessanta da John Kennedy e Giovanni
XXIII – che prevedeva l’invio di “missionari”
in America Latina, e a cui Illich replica fondando, in Messico,
un centro per la documentazione delle culture locali – alla
critica verso l’invadenza delle tecnologie mediche (nella sua
opera Nemesi Medica), all’indicazione di come i sistemi
organizzativi complessi diventino, ad un certo punto, controproducenti.
Il sociologo francese Alain Touraine è autore, fra le numerose
opere, di una Critica della Modernità, pubblicata nel 1992.
Questa sua “critica”, in effetti, va intesa propriamente
come “esame” più che come “valutazione
negativa”. Se, però, il suo pensiero non esprime una vera
e propria Antimodernità, dal momento che Touraine riconosce
all’avvento della Modernità, almeno, il merito
d’aver originato la “soggettivazione”, cioè la
consapevolezza e la richiesta di diritti da parte dell’individuo,
egli tuttavia avverte nel realizzarsi concreto, storico della
Modernità, uno sbilanciamento ed eccesso dell’altro
aspetto, dell’altro fondamentale carattere moderno, quello della
“razionalizzazione oggettiva”; eccesso che viene da lui
indicato con il termine “modernismo”. E a questo modernismo
Touraine si oppone decisamente, vedendo in esso proprio una negazione
della soggettività, una prevaricazione da parte
dell’apparato scientifico-tecnico – dietro cui stanno le
parti sociali dominanti – nei confronti del sentire umano
autentico.
Partendo da una posizione politica di destra radicale, Alain de
Benoist, dopo essere stato, negli anni settanta del XX secolo,
animatore della cosiddetta “Nouvelle Droite”, è
giunto a riconoscere la perdita di forza significativa alle categorie
di destra e sinistra, a suo parere sostanzialmente omologate nei valori
della Modernità. Nei suoi lavori più recenti, egli trae
invece spunto da posizioni marginali del pensiero sia di destra sia di
sinistra. La sua critica verso la Modernità, innanzitutto, punta
il dito contro la centralizzazione dell’economia rispetto alla
politica, contro l’atteggiamento utilitaristico e materialistico,
contro la perdita del senso di sacralità. De Benoist,
particolarmente, imputa alla Modernità dell’Illuminismo la
prospettiva esistenziale individualistica, a cui contrappone quella di
una identità comunitaria; egli manifesta poi un chiaro favore
per la religiosità pagana rispetto al Cristianesimo, nella cui
dottrina vede in potenza molti caratteri negativi della
Modernità.
L’ideale moderno di crescita e di sviluppo economico è
radicalmente avversato da Serge Latouche, economista per formazione.
Alla credenza per cui la crescita economica, il continuo aumento delle
merci a disposizione, assicurerebbe un continuo miglioramento
dell’esistenza umana, egli oppone la necessità di una
decrescita; questo sia perché il fabbisogno di materie prime
viene a contrastare, ad un certo punto, con la finitezza della
biosfera, sia perché i residui delle produzioni alterano sempre
più l’ambiente, sino a renderlo invivibile, ma anche, e
soprattutto, perché la disponibilità di merci oltre un
certo limite crea solo un illusorio beneficio, mentre l’esistenza
produttivistica determina realmente ansia, necessità di farmaci
e droghe, perdita della capacità di socializzazione.
L’obiettivo della “decrescita” non è
però attuabile, secondo Latouche, in una modalità
meramente economica. Affinché non si abbiano ricadute negative
(disoccupazione, crisi sociali) la decrescita economica deve
accompagnarsi a un profondo mutamento culturale, che Latouche indica
come “decolonizzazione dall’immaginario
economicista”, liberazione dal pregiudizio radicato che “di
più” equivalga a “meglio”, riscoprendo invece
il valore della sobrietà e della socialità.
In Massimo Fini, giornalista e scrittore, l’Antimodernità
è tema dichiarato e centrale, come mostra il sottotitolo di un
suo libro: Il vizio oscuro dell’Occidente – Manifesto
dell’Antimodernità. Nelle sue opere, tra le quali si
può ricordare anche La Ragione aveva torto? e Il denaro sterco
del demonio ritorna costantemente, e coerentemente, il motivo del
degrado nell’esistenza umana venuto a seguito della Rivoluzione
Industriale, indicata da Fini come spartiacque tra civiltà
occidentale premoderna e moderna. La Rivoluzione Industriale prometteva
– scrive Fini – una abbondanza di beni materiali tale, da
far felice chiunque; ha portato invece subordinazione dell’uomo
al meccanismo produttivo, angoscia, mancanza di senso. Nella scrittura
di Massimo Fini convivono precisi riferimenti, apporto di dati, rimandi
a studi storici e sociologici, insieme con una vena letteraria e
poetica, che si mostra, a volte, con un certo tono di nostalgia per la
semplice e umana vita preindustriale, in cui gli individui potevano
mantenere una serenità anche nelle esperienze più
difficili, come quelle del dolore e della morte.
Antimodernità e Tradizionalismo – Si è manifestata,
dunque, piuttosto recentemente, una gamma di critiche all’assetto
della Civiltà Occidentale, alla Modernità, e questa
cultura di Antimodernità via via si sta elaborando e precisando.
Si può comunque affermare, di questa anche variegata
Antimodernità – e mi sembra una notazione importante
– che essa abbia un tratto di fondamentale distinzione,
alterità, rispetto a una forma di Antimodernità che la
cultura europea ha conosciuto in passato: l’Antimodernità
del Tradizionalismo.
Il termine “Tradizionalismo” viene dal latino
“tràdere”, col significato di
“consegnare”. Una dottrina del Tradizionalismo, nel senso
più proprio, ritiene vi sia stata una “consegna
originaria” di Verità fatta agli uomini. Perciò il
Tradizionalismo – pur nelle diverse declinazioni che questa
posizione culturale ha assunto – implica sempre il riconoscimento
di un ordine oggettivo, dogmatico del mondo e delle cose, rappresentato
in rivelazioni e dottrine primarie. La Verità e
non-Verità, i valori e i disvalori, ciò che risulti Bene
oppure Male, rimane stabilito, in ultimo giudizio, da questi
ordinamenti oggettivi.
Se la Modernità è deprecata da queste culture
tradizionalistiche, lo è innanzitutto perché rappresenta
un allontanamento, una degenerazione rispetto all’ordine dato.
Per specificare un po’ meglio, riguardo alle dottrine del
Tradizionalismo, si può dare qualche indicazione sul cosiddetto
“Tradizionalismo Primordiale” e sul “Tradizionalismo
Cattolico”.
Il Tradizionalismo Cattolico, che assume i suoi tratti essenziali
all’inizio del XIX secolo, con figure come Joseph de Maistre,
Louis de Bonald, Lamennais, Louis-Eugène Bautain, pone quale
fondamento primo e ineludibile dell’orientamento esistenziale, di
qualsivoglia conoscenza morale, la Rivelazione divina – ovvero il
complesso delle Sacre Scritture del Cristianesimo – e la Chiesa
che ne è depositaria. Viene data importanza, certamente –
in opposizione alla ragione illuministica – al sentimento, al
cuore, ad una “intelligenza intuitiva”, ma è
un’importanza che consiste, in ultima analisi, nel permettere il
riconoscimento e l’accettazione della Rivelazione. La Bibbia, e
l’autorità ecclesiastica storica, sono perciò il
riferimento totale, sicuro, completamente disponibile, sufficiente,
indiscutibile. Le religioni precedenti l’ebraismo-cristianesimo
possono contenere, se si vuole, degli elementi di verità, delle
prefigurazioni; possono venir considerate, tutt’al
più, dei momenti di avvicinamento alla Verità. Le
religioni posteriori al Cristianesimo sono erronee.
La corrente del Tradizionalismo cosiddetto “Primordiale”,
la quale ha come iniziatore ed esponente di maggior rilievo René
Guénon (1886-1951), ritiene che vi sia stata, in una fase
aurorale e di pienezza per l’uomo, la Rivelazione di
Verità; che in seguito questa Rivelazione, nella vicenda
storica, si sia frammentata e velata nelle diverse dottrine religiose;
che ci sia però la possibilità per l’uomo – o
almeno per una certa tipologia di essere umano, che possa seguire certi
percorsi, certe modalità di realizzazione interiore – di
intuire in sé stesso la Verità integrale, con
l’ausilio della simbologia che può acquisirsi dalle varie
forme religiose. Anche qui si ha dunque una Verità originaria
data; ma essendosi questa integrità oggettiva persa nella
storia, c’è d’altra parte, nella prospettiva del
Tradizionalismo Primordiale, una indicazione d’importanza
dell’essere umano in quanto soggetto, che possa riuscire nella
reintegrazione della Conoscenza – almeno con riguardo a cerchie
ristrette di individui, adeguati a recepire, sostenere, utilizzare
positivamente questa Conoscenza.
Antimodernità e Culture Tradizionali – Se, peraltro,
l’orientamento di Antimodernità come attualmente si sta
manifestando – e come a mio parere è bene si elabori e
manifesti – rimane distinto dall’idea di Tradizionalismo,
ciò non significa affatto che non sia opportuna
l’attenzione, la ricerca, riguardo a quelle che possiamo chiamare
“Conoscenze Tradizionali”, le quali possono ritrovarsi
anche nell’ambito di dottrine o studi del Tradizionalismo.
Le civiltà che hanno preceduto la fase storica
“moderna” possedevano un complesso di conoscenze,
attitudini verso l’esistenza, stabilizzate, che venivano
“consegnate” dagli anziani ai giovani, e perciò le
culture di queste civiltà possono definirsi “Culture
Tradizionali” – con un significato del termine
“tradizione” (“consegna”) analogo ma non
identico a quello del “Tradizionalismo”.
Era cioè ben presente – e a quanto pare, anche secondo
studi “scientifici” che oramai abbondano, permetteva tutto
sommato un “buon vivere” – il fondamentale valore che
la Modernità invece dispregia: quello della permanenza.
All’idea di permanenza si richiama una concezione, molto
importante, che si trova generalmente nelle Culture Tradizionali: la
concezione secondo cui l’essere umano ha un’essenza
fondamentale propria, perenne, e perciò le conoscenze sulla
natura umana provenienti dal passato, anche dal più remoto,
possiedono una validità che non si è persa nel tempo.
Ma riguardo alle conoscenze – almeno a quelle fondamentali
– sulla natura umana, e sul mondo, è il caso di
evidenziare un altro carattere delle Culture Tradizionali, che ancora
le contrappone alla cultura della Modernità. Il fatto,
cioè, che queste conoscenze siano non di ordine
empirico-razionale, ma invece intuitivo; tali conoscenze non possono
perciò essere precisamente formalizzate, oggettivate. Se quegli
elementi esteriori e concreti, che principalmente costituiscono la
“forma” delle Culture Tradizionali, ovvero i simboli, hanno
certo l’importanza di dare “suggerimenti”, la
conoscenza, nel senso più autentico, può svelarsi
solo a seguito di un accoglimento interiore, da parte della persona che
è perciò soggetto di quel conoscere, e non semplice
“terminale ricevente” di conoscenze razionalizzate e
oggettive – come finisce per essere nella prospettiva della
Modernità, e con riguardo a qualunque ambito e grado conoscitivo.
Bibliografia
Ivan Illich – Nemesi medica: L’ espropriazione della salute
Ivan Illich – Per una storia dei bisogni
Ivan Illich – Conversazioni con Ivan Illich
Alain Touraine – Critica della Modernità
Alain Touraine – Che cos’ è la democrazia?
Alain de Benoist – Le sfide della postmodernità: Sguardi sul terzo millennio
Alain de Benoist – Identità e comunità
Alain de Benoist – Comunità e decrescita: Critica della ragione mercantile
Serge Latouche – La Megamacchina: Ragione tecnoscientifica, ragione economica e mito del progresso
Serge Latouche – L’ invenzione dell’ economia
Serge Latouche – Decolonizzare l’ immaginario: Il pensiero creativo contro l’ economia dell’ assurdo
Massimo Fini – La Ragione aveva torto?
Massimo Fini – Il denaro sterco del demonio
Massimo Fini – Il vizio oscuro dell’ Occidente: Manifesto dell’ Antimodernità
Philippe Ariès – Storia della morte in Occidente
Walter Benjamin – Angelus novus
Alain Caillé – Critica della ragione utilitaria
Albert Camus – L’ uomo in rivolta
Louis Dumont – Homo Aequalis: Genesi e trionfo dell'ideologia economica
Umberto Galimberti – Psiche e teche: L’ uomo nell’età della tecnica
Johan Huizinga – La crisi della civiltà
Bernard-Henry Lévy – La barbarie dal volto umano
Marcel Mauss – Saggio sul dono: Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche
Karl Polany – La grande trasformazione
Gilbert Rist – Lo sviluppo: Storia di una credenza occidentale
Georg Simmel – La filosofia del denaro
Max Weber – L’ etica protestante e lo spirito del capitalismo
Joseph de Maistre – Saggio sul principio generatore delle costituzioni politiche e delle altre istituzioni umane
René Guénon – La tradizione e le tradizioni: Scritti 1910-1938
Qualche sito
http://www.alaindebenoist.com – Alain de Benoist
http://www.ariannaeditrice.it – La casa editrice Arianna
http://www.decrescita.it – L’associazione per la Decrescita
http://www.filosofiatv.org – L’Associazione Eco-Filosofica (AEF) di Treviso
http://www.massimofini.it – Massimo Fini
http://www.revuedumauss.com – Il francese MAUSS (Movimento Anti-Utilitaristico nelle Scienze Sociali)
Enrico G. Caprara - contributo originale - Marzo 2007 Torna in alto