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QUEI MONITOR POCO REALI

di Umberto Galimberti

Abstract
Questo scritto, apparso su un periodico e scaturito dalla domanda  di uno studente,  non necessita di comenti, e rispecchia esattamente il mio pensiero. Da meditare con attenzione.
U. Galimberti è autore del fondamentale Psiche e techne

Scrive Raffaele Simone [autore de La terza fase - Forme di sapere che stiamo perdendo]:

"Possiamo non accorgerci che la diffusione della conoscenza mediata dall'informatica è la più grande barriera che si sia mai presentata nella storia verso il contatto con la realtà?"

Domanda:

Sono un sedicenne che ha capito che troppo, veramente troppo spesso ii nostro leggere è veloce e superficiale. Perché la lettura abbia senso dobbiamo praticarla ii più attivamente possibile. Un libro non è la tv, e come la scrittura richiede un certo tempo e una certa pratica. Purtroppo questo è un passo che siamo costretti a compiere da soil, perché la comprensione di ciò che si legge viene sempre data per scontata, soprattutto nel luogo in cui questo principio, se lo si può chiamare così, dovrebbe essere trasmesso ed espresso: la scuola e più in particolare le medie superiori.
Senonché l'uso spregiudicato dei computer uccide il pensiero.

II rito dei lento passaggio dai pensiero alla parola e quindi al carattere scritto è molto più importante di quanto non si creda nella nostra società; dove arriva ii digitale diventa sempre più segno distintivo, il cosiddetto status symbol e sinonimo di modernità.

Non voglio togliere ai computer e a internet i loro pregi, ma se una maggiore velocità e facilità di comunicazione e archiviazione devono significare arretratezza del pensiero, allora sarebbe meglio gettare tutto e attendere un'epoca più propizia ed evoluta.

Osservando questo strumento negli ultimi tempi mi sono reso conto di quanto esso sia pericoloso, e da grande fautore e ammiratore ne sono diventato un attento critico, è necessario rendersi conto dell'atroce effetto boomerang che li computer può avere.

Con profonda stima per il suo lavoro.

Giandomenico Spisso, Bologna


Risponde Umberto Galimberti:

Compito della scuola non è quello di fornire dati e sempre più dati, né tantomeno quello di fornire risposte senza l'indicazione dei processi attraverso cui a quelle risposte si giunge. Compito della scuola è fornire metodi di ricerca e capacità di giudizio, a partire dai quali i dati e e risposte sono facilmente ottenibili.

Un esempio: al costo di una ventina di computer si può attrezzare un magnifico laboratorio di fisica. Fra dieci anni, quando quei computer saranno da tempo nella spazzatura, i diapason potranno ancora insegnare la risonanza, un voltometro dimostrerà perfettamente la legge di Ohm e gli studenti potranno ancora utilizzare le attrezzature per capire il movimento angolare. In questo modo avranno imparato un metodo di ricerca e non solo i semplici risultati del sapere già acquisito che il computer può tornire in grande abbondanza senza però impegnare la testa dello studente nella ricerca del "modo" con cui vi si perviene.

E d'altra parte davvero 50 minuti di lezione di un buon insegnante possono venire liofilizzati in 15 minuti multimediali? Ma gli inconvenienti più gravi dell'informatizzazione generalizzata della scuola sono la marginalizzazione della realtà" fisica" a favore di quella "virtuale" e la riduzione drastica dei processi di socializzazione con tutte le conseguenze etiche e psicologiche che la cosa comporta per effetto dell'isolamento indotto dal rapporto del singolo individuo con il suo computer.

Come scrive opportunamente Raffaele Simone: "Con un software posso visitare Roma senza averci mai messo piede, navigare sotto l'oceano senza bagnarmi e perfino fingere un gioco violento senza neppure graffiarmi. E reale, questo? O è adatto piuttosto a una situazione di emergenza e di penuria?
A me pare che le tecnologie cognitive informatizzate siano una drastica forma di derealizzazione, una via per sostituire il "non vero" al 'vero", il "non reale" (= il virtuale) al "reale" per simulare delle cose che non si possono o non si vogliono fare. Il nostro fare si ridurrà solo a una seduta in cui si smanetta su una tastiera e sì occhieggia un monitor?
Penso a questa eventualità con orrore, ma la vedo minacciosamente in marcia verso di noi".

Ai processi di derealizzazione che l'uso incontrollato del computer in età scolare alimenta si aggiungono i processi di desocializzazione. Infatti solo una persona alla volta può interagire con un computer, il che comporta meno relazioni con gli amici, meno condivisione della propria vita con altri, declino del coinvolgimento sociale, perché è vero che con internet posso farmi amici in America o in Australia, ma che grado di profondità possono avere queste amicizie? Come mi addestrano a incontrare gli altri faccia a faccia avendo qualcosa di interessante da dire? Quanto tempo sottraggono alla nostra vita reale e ai rapporti che potremmo avere con chi ci circonda? Con quale danno sostituiremo la comunità reale del vicino di casa, del compagno di scuola, dell'amico del bar con la comunità virtuale delle voci senza volto con cui pensiamo di comunicare via email o con i messaggi telegrafici e inespressivi sms. Che ne è a questo punto della nostra competenza sociale, e quali le conseguenze in termini di solitudine, di depressione. di timidezza?

Così si dà a ciascuno l'illusione della libertà e, di fatto, si creano individui già singolarmente massificati. Perché a tutti, sia pure in modo individuato, è stato fornito lo stesso mondo da consumare già interpretato e già codificato nel suo significato, senza che l'individuo possa disporre di un suo giudizio personale, perché la scuola informatizzata non gli ha dato gli strumenti per essere in grado di formarsene uno. Che sia questo il nuovo modo con cui si promuove la gestione delle masse?


Umberto Galimberti - da La Repubblica delle donne - 7 gennaio 2006
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