Menu (Salta il menu e vai al contenuto)


IL SACRO

di Luca Bianchini

Introduzione
I calcoli matematici dei pitagorici, applicati all'acustica, sono così raffinati e complessi da spiegare, che ripercorrerne l'origine e tracciarne i dettagli costituisce senz'altro un'esperienza di tipo mistico.
Per comprendere il senso iniziatico della ricerca acustica, com'è trasmesso da Boezio, e per raccontare la scoperta di Pitagora del calcolo della serie di intervalli musicali, occorre premettere cosa intendessero i greci per intervalli e come i teorici li abbiano interpretati, secondo due scuole di pensiero: pitagorica e aristossenica diametralmente opposte.
Premessa

Il suono, da solo, non ha un senso musicale definito e per acquistarlo deve essere inserito in un conteste melodico insieme ad altre note. Tra due suoni che non hanno la stessa tensione e non insistono sullo stesso grado si determina un intervallo musicale che ne misura la distanza. La voce nel canto e lo strumento nella linea melodica eseguono più intervalli e perciò hanno un movimento "diastematico", dal greco “diastema” che significa “intervallo”.

Allo studio della voce Cleonide, musicografo greco vissuto nel secondo secolo d.C., dedica un intero capitolo della sua Introduzione Armonica. Secondo lui occorre considerare due movimenti vocali vocali, uno detto “continuo” e proprio del parlare, e l'altro "diastematico" e proprio del canto (Cleonide, MH 186).
La teoria è di chiara derivazione aristossenica: nel movimento “continuo” sembra ai nostri sensi che la voce percorra un certo spazio e non si fermi in nessun punto.
Nel movimento “discontinuo”, cioè in quello diastematico, la voce - dice lui - si ferma su un grado, poi di nuovo su un altro “saltando gli spazi intermedi e non fermandosi che sui gradi stessi” (Elementi armonici, I, 8).

Quando parliamo, il moto delle vibrazioni non ha velocità costante, ma per gli aristossenici ha poca importanza indagare sul fenomeno acustico: ognuno dei due movimenti si deve riguardare secondo l'impressione dei sensi” (Elementi armonici, I, 8).
I pitagorici invece si sforzavano di definire il suono in modo scientifico, come vibrazione, ma confondevano ancore l'altezza di una nota, cioè il numero delle vibrazioni al secondo, con l'intensità, che dipende dall'ampiezza delle onde sonore. Negli scritti di Cleonide “lo spazio compreso tra due note differenti per acutezza e gravita” è definito intervallo musicale (MH 186).

Anche in Aristosseno leggiamo che l'intervallo e le spazio compreso tra due note che stanno sullo stesso grado: “L'intervallo sembra sia una differenza di gradi ed uno spazio capace di contenere note più acute del più greve e più gravi del più acuto dei due gradi che limitano l'intervallo. “ (Elementi armonici, I, 15).
Per Aristosseno “occorre classificare gli intervalli secondo le divisioni di uso pratico” distinguendoli per grandezza, consonanze e dissonanze, tra semplici e composti, oppure secondo il genere o in razionali e irrazionali (Elementi armonici, I, 1S).

La distanza che separa due note determina la grandezza degli intervalli.
Quelli diatonici, cromatici o enarmonici si differenziano per il genere.
Gli intervalli consonanti sono di quarta, di quinta e di ottava, dissonanti si considerano invece quelli minori della quarta o compresi tra suoni consonanti. Aristosseno intende per intervallo “composto” quello divisibile in più parti a per “semplice” quello indivisibile.

La stessa grandezza può essere semplice in un genere e composto in un altro: il semitono MI-FA, ad esempio, è semplice nel genere diatonico e cromatico, perché non ammette ulteriori divisioni, e composto in quello enarmonico, perché è possibile inserire un MI elevato d'un quarto di tono intercalare (spesso rappresentato conìme mi+).
Altre grandezze sono solo composte, per esempio DO-FA; altre ancora soltanto semplici, per esempio MI-MI, poiché tutti gli intervalli minori del semitono sono semplici e sono composti tutti i maggiori del ditono (due toni).
Aristosseno precisa che “gli intervalli composti sono in un certo modo dei sistemi” (Elementi armonici, I, 5). Infatti l'intervallo di quarta o di quinta ecc. è composto dalla somma di più intervalli.

Cleonide definiva il sistema “ciò che è composto da più di un intervallo” e Aristosseno rovescia questa frase e ci dice cosa è un intervallo valendosi della definizione di sistema.
Gli intervalli sono razionali quando è possibile determinarne la grandezza: ad esempio il tono, il semitono, il ditono e il tritono.
I musicografi sottintendono che gli intervalli razionali devono essere effettivamente eseguibili, come sosteneva Aristosseno nella sua Ritmica.
Il tono era suddiviso dai teorici in dodici parti, ma il dodicesimo di tono non era udibile. Secondo Aristosseno infatti l'intervallo minimo che l'orecchio può percepire è il quarto di tono. Per questo il dodicesimo di tono è valutabile in grandezza, ma non è razionale perché non è effettivamente usato nella pratica. Se il minimo intervallo razionale è il quarto di tono e funziona come unità di misura degli altri intervalli, sono razionali tutti i suoi multipli.

I pitagorici in particolare consideravano razionali gli intervalli in rapporto superparziale, cioè quelli che derivano dalla formula (a+1)/a, come la quarta: 4/3, che è come scrivere (3+1)/3 e la quinta 3/2;
Pitagora non considerava consonante l'undicesima perché il rapporto “9/3 non era superparziale.

La musica per Aristosseno non è una scienza da perseguire con l'esasperata razionalità dei pitagorici, ma è soltanto un'arte.
Aristosseno basa le proprie osservazioni sulla sensazione uditive. La musica e un fenomeno percepito dall'individuo e interessa prima l'udito, con il quale giudichiamo la grandezza degli intervalli. Con l'intelletto ci rendiamo conto della loro “dunamis”, cioè della funzione che ogni intervallo ha nel discorso musicale. Il suono, secondo Aristosseno, si percepisce con l'udito e con l'intelletto.
La comprensione musicale per lui dipende da queste due facoltà: percezione sensibile e memoria, “perché si deve percepire il suono presente e ricordare il passato. In nessun altro modo si possono comprendere i fenomeni musicali” (Aristosseno, II, 38-39).

Di fronte al suono ci troviamo tutti diversamente disposti per naturale costituzione. Il senso è condizionato dalle memoria che definisce le differenze del sentire tra gli individui e la musica è un modello che ognuno di noi elabora attraverso un processo individuale. L'ascoltatore infatti è disposto ad accettare quello che gli piace e coglie i movimenti melodici come fossero già presenti in lui. Due suoni disposti in successione orizzontale possono essere graditi oppure risultano aspri, se sono dissonanti.

Per Gaudenzio le consonanze, realizzate da strumenti a corda o a fiato “mostrano una stessa melodia al grave e all'acuto e nella esecuzione dei due suoni consonanti si manifesta la fusione tra di essi”.

Se poniamo una melodia base che fa da tema SOL la SOL MI FA e ne realizziamo una in contrappunto parallelo alla quarta grave: RE MI RE SI DO, o alla quinta acuta: re mi re si do, le due voci sono allineate perfettamente e gli intervalli tra le note sono gli stessi: SOL-la = RE-MI (intervallo di tono); MI-FA = SI-DO (intervallo di semitono). Alla terza inferiore: MI FA MI DO RE, o alla sesta superiore: mi fa mi do re l'andamento del melos è parallelo, ma è completamente diverso dalla melodia base: SOL-la = tono e MI-FA = semitono ecc.

Non c'è parentela tra le due linee musicali. I greci apprezzarono e considerarono consonanti gli intervalli di quarta e di quinta e ritennero quindi dissonanze quelli di terza e di sesta. Dicevano che i suoni consonanti, in “sinfonia”, realizzavano tra loro una perfetta fusione e che i dissonanti, in “diafonia”, non si univano e risultavano aspri (Cleonide, MH 198); “Bisogna infatti che i suoni eseguiti assieme abbiano un aspetto sonoro unitario” (Porfirio, p. 89).

Il senso delle consonanze e delle dissonanze nello svolgersi delle melodia caratterizzava l'accompagnamento del citarista o dell'auleta. I suoni consonanti sono sempre due, mai tre. Il termine accordo, che è impiegato talvolta per illustrare alcuni aspetti della musica greca, è improprio secondo il significato che ha assunto nella teoria moderna. Ma in linea etimologica e rispettando la particolare natura musicale dei greci può essere giustificato, basta intendersi.


La natura stessa accetta ciò che piace e rigetta quello che crea turbamento. Pitagora e Aristosseno diedero avvio allo scisma, che è vivo ancora oggi, tra due modi diversi di intendere la musica: SCIENZA e ARTE. Pur accettando il senso delle dottrine pitagoriche, lo sviluppo della musica attraverso i secoli è condizionato dall'impostazione aristossenica, Pitagora prende posizione contro gli aristossenici e afferma che l'orecchio è corruttibile e che i modi di ascoltare sono diversi secondo gli individui, ma che c'è una sola possibilità di intendere il rapporto tra due suoni. Per questo si sforza di dare un contenuto scientifico e razionale alla sensazione uditiva, analizzando e scomponendo il dato sonoro in termini matematici.


Il fabbro.

Prima di leggere il racconto di Boezio a proposito di Pitagora e della sua sensazionale scoperta, occorre meditare sulla figura del fabbro e sui significati iniziatici della musica e dell'aritmetica numerica, che ancora nel medioevo, insieme all'astronomia e alla geometria, costituivano il quadrivium insegnato all'Università: aritmetica = scienza del numero; geometria = scienza del numero nello spazio; astronomia = scienza del numero nel movimento; musica = scienza delle proporzioni tra i numeri.

Nelle Storie di Erodoto c'è un passo significativo occorso durante il lungo conflitto che oppose Spartani e Arcadi: “67. Così durante la prima guerra sempre con esito costantemente sfavorevole lottarono contro i Tegeati; invece al tempo di Creso gli Spartani erano riusciti vincitori nella guerra: poiché venivano sempre battuti in guerra dai Tegeati, mandarono messi a Delfi per chiedere quale degli dei propiziandosi sarebbero riusciti superiori ai tegeati...

E la Pizia profetò loro che lo sarebbero riusciti quando avessero ricondotto in patria le ossa di Oreste figlio d'Agamennone. Ma, poiché non furono capaci di rintracciare la tomba di Oreste, mandavano di nuovo al dio per chiedere il luogo in cui Oreste giaceva. Ai messi che le rivolgevano questa domanda così la Pizia risponde: C'e una Tegea d'Arcadia in luogo piano, ove due venti spirano sotto una forza possente e c'è colpo e contraccolpo, e danno su danno. Li la terra datrice di vita tiene l'Agammennonide; tu portandolo via sarai vincitor di Tegea. Quando gli Spartani ebbero udito ciò, benché da per tutto cercassero, pure non erano meno lontani dal trovarlo, finche Lica, uno degli Spartani detti benemeriti, lo trovo. I benemeriti sono cinque cittadini, scelti ogni anno, sempre i più anziani, fra i cavalieri; questi nell'anno in cui sono tratti a sorte fra i cavalieri hanno il dovere di non stare mai in ozio. 68...

Lica dunque, uno di questi uomini, aiutato e dal caso e dalla sua avvedutezza la trovo a Tegea. Essendoci in quel tempo libertà di scambio con i Tegeati, capitato in una officina egli osservava la lavorazione del ferro, e stava tutto meravigliato a contemplare il lavoro. Il fabbro, accortosi della sua meraviglia, gli disse interrompendo il lavoro:

“Certo, o ospite spartano, se tu avessi visto ciò che io vidi molto ti saresti meravigliato, dal momento che tanto ammiri la lavorazione del ferro. Che io, volendo farmi in questo cortile un pozzo, scavando trovai un'urna di sette cubiti. Non credendo che fossero mai esistiti uomini più grandi di quelli di oggi la aprii e vidi il cadavere, che era della stessa lunghezza dell'urna. Dopo averlo misurato tornai a seppellirla”. Questi dunque gli diceva ciò che aveva visto, e l'altro, avendo riflettuto su tali parole, congetturava che secondo l'Oracolo quello doveva essere Oreste, da questo arguendolo: vedendo i due mantici del fabbro trovo che erano i venti, e l'incudine e il martello erano il colpo e il contraccolpo, e il ferro lavorato il danno aggiunto a danno, da questo a un dipresso desumendolo, che il ferro e stato inventato per la rovina degli uomini.

Fatte questo congetture se ne tornava a Sparta e riferiva ai lacedemoni ogni cosa. Ma essi lo bandirono, accusandolo di falso. Allora, tornato a Tegea e esposta al fabbro la sua disgrazia, tentava di prendere in affitto il cortile, mentre quello non voleva darlo. Come poi col tempo l'ebbe persuaso, andò ad abitarvi e allora, scavata la tomba e raccolte le ossa, tornava con esse a Sparta e da quel momento, ogni volta che combatterono fra loro, gli Spartani riuscirono di gran lunga superiori in guerra.
Gianfranco Maddoli, curatore di un volume su Erodoto e Tucidide, scrive che questa leggenda erodotea è la narrazione simbolica di un'iniziazione ad antichi misteri metallurgici, sul tipo di quelli dei Cabiri.

E’ noto che Erodoto fosse iniziato ai misteri di Samotracia: “a livelli culturali differenti ... c'è un legame intimo tra l'arte del fabbro, le scienze occulte. . e l'arte della canzone, della danza e della poesia. Queste tecniche solidali ... si sono trasmesse in un'atmosfera pregna di sacralità e di mistero che comportava iniziazioni, rituali specifici e segreti del mestiere".

Secondo Erodoto quindi uno spartano di nome Lica s'è recato nella città arcade di Tegea sulle tracce delle ossa di Oreste. Liches (Lica) viene da leicho (lecco), da cui lichnos (ghiotto, curioso). Lica è colui che è curioso (di conoscenza). Tegea, luogo dell'iniziazione, viene da stego (copro, tengo segreto: nella Massoneria il profano è infatti "tegolato").

Ricostruendo la scena Lica si ferma innanzi alla bottega di un fabbro che lavora il ferro e osserva l'aspetto essoterico. Il fabbro accenna all'aspetto esoterico, cioè al ritrovamento dell'urna. I complessi rituali legati al lavoro del fabbro (metallo) implicano per gli antichi il sacrificio d'una divinità.

Chi ha a che fare con quel fabbro è il candidato, chi ne osserva il lavoro esteriore è profano, chi lo capisce è inizato ...

Newton ancora nel 1728 scriveva che “le antichità Greche sono piene di finzioni Poetiche, perché i Greci non scrissero nulla in Prosa, prima della conquista dell'Asia da parte di Ciro, re di Persia.


Il monocordo

Secondo un racconto di Boezio, anche Pitagora conobbe i misteri della musica, perché fu iniziato nell'officina d'un fabbro:

un giorno passeggia assorto nei suoi problemi…

Non sa come ricavare la grandezza degli intervalli. D'un tratto ode provenire da una officina d'un fabbro alcuni suoni, che gli sembrano parte gradevoli e parte sgradevoli. Quattro fabbri stanno battendo quattro martelli sulle quattro incudini e i suoni producono tra loro sia consonanze che dissonanze. Pitagora s'avvicina incuriosito e, grazie ai fabbri, scopre che le diverse altezze dei suoni dipendono non dai muscoli o dalla forza del percuotere, ma dal diverso peso dei magli.

Comprendere quel ch'egli seppe dai Maestri di quell'arte è, dicevamo, un'esperienza mistica, che svela i rapporti segreti tra i suoni e informa di sé, da allora in poi,  tutta la storia della musica.


I magli hanno pesi in rapporto 6, 8, 9 e 12. E come dire che, se un martello pesa 6 kg, l'altro peserà 8 ecc…, oppure, in proporzione, se uno pesa 6/2 kg. = 3 kg., l'altro peserà 8/2 kg. = 4 kg. ecc.
Quei numeri stabiliscono proporzioni. La musica è appunto la scienza della proporzione tra i numeri.
I martelli estremi, rappresentati proporzionalmente dai numeri 5 e 12, danno suoni all'ottava: un fabbro col martello che pesa 5 chili e l'altro, ben più robusto, col martello che pesa 12 chili, battendo sull'incudine produrranno suoni all'ottava.
Perciò Pitagora stabilisce che il rapporto 6: 12 = 1: 2 indica l'ottava, perché (6:12  fa 0,5 come 1:2 fa 0,5) e allo stesso modo da 6: 9 = 2:3 ricava la quinta; da 6: 8 = 3:4 la quarta e da 8:9 il rapporto di tono. 

Pitagora chiama l'ottava diapason, che significa “per tutte”, la quinta diapente, cioè “per cinque”, perché risulta formata dall'insieme di cinque suoni, e la quarta diatessaron, cioè “per quattro”. L'esperienza pitagorica può essere ripetuta da chiunque appendendo quattro pesi di 6, 8, 9, 12 kg. a quattro corde di eguale diametro e lunghezza vincolate a un estremo. Se il filo col peso minore dà, poniamo, il suono base RE, gli altri sono rispettivamente alla quarta: sol, alla quinta: la, e all'ottava superiore: re.

Il rapporto 1/2 può essere verificato su una chitarra: se la la corda vuota ad esempio suona MI, quella stessa divisa a metà dà il mi acuto. Il rapporto di quarta, 3/4, si otterrà usando i tre quarti della corda (MI-la), quello di quinta coi due terzi (MI-si) dividendo idealmente la corda in tre parti eguali e facendone suonare due.


L'esperienza mistica coi numeri musicali continua ...

I matematici definiscono 3: 2 rapporto sesquialtero e 4: 3 rapporto epitrito o sesquitertius e nella ulteriore analisi ricavano il semitono dalla quarta, che e formata da due toni e un semitono. Per trovare due toni consecutivi moltiplicano il rapporto 8 : 9 = 8 : 9 rispettivamente per 8 e 9 cioè (8x8) : (9x8) = ( 8x9) : (9x9) da cui 64 : 72 = 72: 81. Infatti fissando due corde identiche a un supporto e attaccando ad una il peso di 6. 4 kg, alla seconda 7. 2 kg e alla terza 8. 1 kg, esse vibrano a intervallo di tono tra di loro.
Moltiplicando i termini d'una proporzione per uno stesso numero diverso da zero la proporzione non cambia: perciò

64 : 72 = 72 : 81

per 3 dà

1) 192 : 216 = 216 : 243

che è lo stesso, ma è chiaro che 192 contiene tre volte 64 ed essendo

3 : 4 = 3 : 4

due rapporti di quarta, ricaviamo l'altro estremo dell'intervallo di quarta moltiplicando 64 x 4, ossia

2) 192 : 256 = (3 x 64) : (4 x 64)
 
192, 216, 243 e 256 nella 1) e nella 2) rappresentano quindi i suoni do, re, mi e fa. Il valore del semitono pitagorico si basa sul rapporto tra il primo e l'ultimo numero: 243: 256.
Nel De insitutione musica Boezio dimostra che l'intervallo 243: 256 non è esattamente la metà del tono. Infatti costruisce due rapporti continui di semitono moltiplicando 243 : 256 = 243 : 256 per 243 (i primi due) e 256 (i due numeri rimanenti) perchè il risultato non cambia, ossia

(243x243) : (243x256) = (243x256) : (256x256)

e risolvendo ottiene

59049 : 62208 =62208 : 65536

Se il semitono fosse l'esatta meta del tono allora due semitoni uniti formerebbero un tono e sarebbe valida la proporzione
 
8 : 9 = 59049 : 65536

Ma non è così, perché il semitono e più piccolo. Il tono infatti è costituito da un semitono minore e da uno maggiore: l'apotome. Boezio con un'altra successione di numeri prova che l'ottava non è fatta di sei toni come sostiene Aristosseno. Dal numero 262144 scrive sei rapporti continui di tono. Ovviamente non ha scelto quel numero a caso, perché 262144 = 8x8x8x8x8x8. I sei rapporti continui di tono sono

262144 : 294912 =
294912 : 331776 =
331776 : 373248 =
373248 : 419904 =
419904 : 472392 =
472392 : 531441

ma 531441: 262144 è il rapporto tra sei toni e non quello di ottava 2: 1, perché moltiplicando 262144 per 2 si ottiene 524288 che non corrisponde a 531441. Boezio dimostra che Aristosseno ha torto: l'ottava in realtà e formata da 5 toni più due entità inferiori al semitono.
Se da 531441 sottraiamo 524288 otteniamo 7153 che in acustica è il valore del comma pitagorico, cioè la differenza tra l'ottava e sei toni.


Note

Nullam a quam non nibh aliquet cursus. Curabitur venenatis. Aenean eros sem, fringilla et, aliquet id, pretium eget, nunc.

Bibliografia

Tutti i testi dei musicografi citati sono raccolti nei preziosi libri dello Jan (testo greco) e del Maibom (testo greco e traduzione latina):
- Meibom, Marcus, Antiquae musicae auctores septem. Graece et latine. Marcus Meibomius restituit ac notis explicavit. L. Elsevir, Amsterdam, 1652. 

- Jan, Karl von, Musici Scriptores Graeci, Lipsia 1895-1899

Per le notizie sull'indagine pitagorica e sul temperamento, rimando a:
Righini, Pietro. Le scale musicali - leggende, pregiudizi, realtà. G. Zanibon, Padova, 1971.
Righini, Pietro e Giuseppe Ugo Righini. Il suono, dalla fisica - all'uomo - alla musica - alla macchina. Tamburini, Milano, 1974, 422 pagine.
Righini, Pietro. Gli intervalli musicali e la musica: dai sistemi antichi ai nostri giorni. G. Zanibon, Padova, 1975.
Righini, Pietro. La musica greca. Analisi storico tecnica. G. Zanibon, Padova, 1976.
Righini, Pietro. Lessico di acustica e tecnica musicale. G. Zanibon, Padova, 1980.

Sitografia

Per una bibliografia sul temperamento e le questioni pitagoriche vedi
Per approfondire la scala pitagorica, con qualche esempio
Per il trattato di Aristosseno
Per i simbolismi matematici

Luca Bianchini  - contributo originale - novembre 2006
Torna in alto

Piede: metadati e informazioni aggiuntive (Salta la navigazione)