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IL SILENZIO

di Marta Bonoldi
a.a. 2004-05

Abstract
In questa ricerca Marta  esamina il tema dal punto di vista generale, sintetizza poi le idee di Eric Gaudibert, infine ragiona sull'uso del silenzio nella musica del '900, esaminando nello specifico la poetica di J. Cage.

“Ascolto,trasportato a mezz’aria,
il brusio delle ali del silenzio
che vola nell’oscurità”
M.A. de Saint-Amant

Mai si avverte così distintamente il silenzio come quando si è spenta l’ultima nota. L’esecuzione musicale è in fondo qualcosa che emerge tra due orizzonti di silenzio. Vi è il silenzio precedente la composizione e il silenzio successivo, prima
dell’applauso
.

Giséle Brelet afferma che:
[…] l’opera musicale presuppone il silenzio che la precede […] Il silenzio ove l’opera nasce non è un puro nulla: in esso abitano un’attenzione ed un’attesa. […] il suono è un avvenimento: comincia a rompere, mentre egli nasce, un silenzio originale e termina in un silenzio finale.
[…] l’opera musicale, come la sonorità, si svolge tra due silenzi: quello della nascita e quello del suo compimento.

(Gisèle Brelet, Le temps musical, essai d’une estéthique nouvelle de la musique, P.U.F., Paris 1949)

Il silenzio può essere visto come ciò che incastona la composizione musicale e non appare azzardato affermare che l’esecutore e alla ricerca questo silenzio perché proprio il silenzio dimostra il potere che il musicista esercita sul pubblico.

Ci si può chiedere come sia possibile integrare il silenzio e musica.Come cioè sia possibile il defluire della musica, all’inizio, rompendo il silenzio preesistente e poi, alla fine dell’esecuzione, il suo sciogliersi nel nuovo silenzio che la segue.
La maestria musicale del compositore, unita ad accorgimenti teorici, permette di integrare il silenzio alla musica, di creare una musica che “non finisce”, permettendo al silenzio finale di divenire un concreto elemento musicale, come la pausa, il silenzio musicale istituito formalmente.

Vale come esempio quanto T.W. Adorno dice rispetto alla conclusione della “Suite lirica” di A. Berg, il celebre “Largo desolato” :

Uno dopo l’altro gli strumenti tacciono. Resta solo la viola e le è permesso di spegnersi, ma non di morire. Deve suonare per sempre; solo noi non la sentiamo più.
(T.W. Adorno, Alban Berg, Il maestro del minimo passaggio, Feltrinelli,
Milano, 1983)

Sul silenzio interno alla musica e sulle varie categorie del silenzio musicale occorre fare alcune considerazioni partendo innanzitutto da una domanda: perché l’analisi tradizionale non prende in conto la pausa?

Infatti non c’è che un piccolissimo numero di segni per simboleggiare il silenzio nella scrittura. Le proprietà del silenzio sembra non abbiano spessore, sono senza colore.
Ma rispetto alla pausa occorre avere un approccio fenomenologico, occorre analizzare la pausa nel contesto musicale integrale, unendo i punti di vista del compositore, dell’interprete e dell’ascoltatore.

La pausa - che è silenzio, arresto dell’emissione del suono – viene dunque percepita in modo diverso e relativo secondo la sua durata, la sua localizzazione, il contesto acustico e psicologico.

Eric Gaudibert, in un suo saggio (Eric Gaudibert, Saggio sulle differenti categorie del silenzio musicale, rivista Dissonance, n. 45, agosto 1995), propone di classificare le diverse situazioni della pausa nella musica occidentale secondo cinque tipologie:

A queste cinque categorie si aggiungono due tipi di pause specifiche delle musiche del XX secolo: la pausa vuota e la pausa protratta.
Questa tipologia risulta aperta, non chiude cioè una pausa in una categoria unica, ma permette tutti i passaggi da una categoria all’altra.
Infatti, secondo il punto di vista adottato, la qualità dell’interpretazione, la stessa situazione musicale può riferirsi all’una o all’altra categoria, o anche a più categorie simultaneamente.

Un’ultima considerazione che occorre fare, rispetto al tema musica e silenzio, è quella riguardante le possibilità dell’esecuzione musicale allorché il silenzio si impossessi della musica, ovvero il senso del silenzio nelle composizioni musicali.
Significative a tale proposito risultano due riflessioni, una della scrittrice, l’altra di un musicista.

M.Yourcenar fa scrivere al personaggio del suo primo romanzo:

Mi è sempre sembrato che la musica non dovrebbe essere che silenzio, ed il mistero del silenzio che cerca di esprimersi. Guardate per esempio una fontana.
L’acqua muta riempie le condotte, vi si ammassa, ne deborda e la perla che
cade è sonora. Mi è sempre sembrato che la musica non dovrebbe essere che il troppo pieno di un grande silenzio
.
(M.Yourcenar , Alexis ou le traité du vain combat, in Alexis, Le coup de grace,
Gallimard, coll. Folio, Paris 1991)

Arvo Part nota che:

Il silenzio è sempre più perfetto della musica. Bisogna soltanto imparare ad
ascoltarlo. Non arriviamo neanche ad immaginare quante cose ci sono
nell’aria. Nessuno, normalmente, le vede.
Le persone non ascoltano ciò che si trova nel silenzio che ci circonda
.
(da Enciclopedia della musica, Einaudi, Torino 2001, vol. I)

Anche altri musicisti del secolo trascorso hanno attribuito al silenzio un ruolo fondamentale ed hanno anche inserito la musica in contesto più ampio: quello della ricerca della verità.

Così dal binomio musica-silenzio si giunge al trinomio musica-silenzio-verità.

Si può però affermare che non esiste una sola verità musicale, ma che questa è costruita, di volta in volta, dai musicisti che risultano quindi essere “costruttori di universi”, ma nessuno di loro però può pretendere all’assolutezza della verità.

Rumore e silenzio nella musica del ‘900

La cultura occidentale ha avuto un rapporto assai problematico con il rumore, cioè con i suoni di altezza indeterminata. La stessa parola rumore era pregna di forte connotazione negativa e assumeva il significato di suono non desiderato in antitesi al termine musica. Schopenauer nell’800 aveva addirittura affermato che la quantità di rumore che ciascuno di noi può tollerare sia proporzionalmente inversa alle capacità mentali di cui l’individuo dispone.

Solo con l’estetica romantica - per la quale l’irrazionale non era più un elemento da estromettere e rimuovere – il rumore riacquista una qualche legittimità. Grandi personaggi nella storia musicale del Novecento hanno reso visibile questa svolta e nello stesso tempo molti autori del XX secolo hanno lavorato anche su un altro fronte: quello di dare dignità al silenzio come elemento compositivo pari al suono musicale, allargando dunque il concetto stesso di suono.

Debussy (1862-1918), compositore che condivise le sue esperienze di vita ed artistiche con i poeti e pittori simbolisti, cercò quel suono che nasce solo a spese del silenzio, invitò ad ascoltare soprattutto quello che “non si sente” e la sua musica è carica di pause gravide di senso.

Nell’ambito del futurismo Ballila Pratella (1880-1955) nei suoi “Manifesti della musica futuristica” (1912) esigeva a gran voce l’inserimento nella musica dei rumori prodotti dalla tecnica e dall’industria.
Anche Luigi Russolo (1885-1947), compositore e pittore, prospettava una musica fatta di rumori prodotta da un’orchestra futurista composta di famiglie di “intonarumori”.
Scrisse “L’arte dei rumori", manifesto futurista ed apparve alle serate futuriste con il suo intonarumori: scatole voluminose dove il rumore era prodotto girando una manovella e veniva amplificato da una tromba acustica. Russolo costruì una ventina di diversi intonarumori divisi in gorgogliatori, crepitatori, urlatori, scoppiatori, ronzatori, stropicciatori, sibilatori, scrosciatori.

Edgar Varèse (1883-1971) fece sua l’esperienza di Russolo e fin dalle sue prime composizioni si concentrò sull’esplorazione di quelle sonorità inedite in cui viene meno la distinzione tra suono e rumore, anche per mezzo di registrazioni su nastro magnetico. Nelle sue composizioni l’elemento melodico tematico viene quindi a perdere importanza, mentre il timbro e il ritmo diventano fattori di primo piano.

Nel 1948 nacque a Parigi la musica concreta, detta anche musica elettroacustica, che si avvalse di materiale sonoro concreto come rumori, strepiti, versi di uccelli, ecc. registrato su nastro ed elaborato per mezzo di selezioni, trasformazioni, collages, fino a farne dei pezzi.
Pierre Schaeffer (1910-1955), padre di questa musica, tentò una classificazione di tutti i suoni che fuoriescono dalle categorie accettate dalla musica tradizionale: rumori, suoni sintetici, ambienti acustici, ecc.

John Cage

Grazie al silenzio i rumori irrompono definitivamente nella mia musica.
J.Cage


John Cage è stato sicuramente uno dei compositori più interessanti e inquietanti del nostro secolo, rappresenta infatti, al di là degli effetti raggiunti, ed in maniera esasperata, l'esigenza di un rinnovamento musicale tanto cercato nel XX secolo.
Cage (1912-1992), oriundo di Los Angeles, fu uno dei molti compositori della West Coast che trassero nutrimento dalla musica e dalla filosofia orientali, particolarmente dal pensiero indù e dal buddhismo Zen.
Secondo la filosofia "Zen", l'illuminazione giace in noi stessi e deve essere raggiunta tramite la meditazione, la quale - a sua volta - è massimamente efficace se praticata "senza intenzione”.
L'illuminazione può essere espressa solamente tramite il silenzio.
I due principali motivi di questa filosofia (la non intenzionalità e il silenzio) sono presenti nella musica di Cage e dalla non intenzionalità nasce il ricorso a tecniche aleatorie e casuali volte ad eliminare l’aspetto soggettivo del processo compositivo, anche se Cage limita quasi sempre l’alea al momento compositivo escludendola da quello esecutivo.
Il ricorso al caso si fonda significativamente con l’interesse per il rumore e le inconsuete situazioni sonore.

Cage si rese ben presto conto che la tradizionale dicotomia fra consonanza e dissonanza aveva ceduto il passo ad una nuova opposizione fra musica e rumore, facendo sì che i confini dell’una venissero allargati per includere una parte maggiore dell’altro.
Già nel 1937 pensava che l’uso del rumore per far musica sarebbe continuato ad aumentare sino a quando non si fosse raggiunta una musica prodotta con l’aiuto di strumenti elettrici, che avrebbero reso disponibili a fini musicali qualsiasi suono udibile.

Esplorando le possibilità degli strumenti a percussione, Cage nel 1939 compose Construction in Metal dove era fatto poderoso impiego di percussioni improprie (campane tubolari, incudini, campanacci di mucca, lamiere per effetti sonori, gong ad acqua, ecc).
In Imaginary Landscape n. 4 (1951) venivano accese contemporaneamente dodici radio, sintonizzate su stazioni diverse: il materiale era completamente casuale e l’unico elemento predeterminato era il periodo di tempo in cui aveva luogo questo insieme di suoni e rumori.

L’esplorazione del ritmo percussivo condusse Cage ad inventare il “piano preparato”, inserendo carta, legno, metallo, vetro, gomma e simili tra le corde di un normale pianoforte a coda. La sonorità prodotta risultava paragonabile a quella di un complesso di percussioni suonato da un solo esecutore.
Per questo strumento scrisse numerosi lavori, il più importante dei quali fu Sonates and Interludes (1946-1948)
Cage considerava ogni suono o rumore singolo come un evento udibile completo in se stesso e quindi incapace di sviluppo. Perciò nella sua musica, in senso tradizionale non vi è né melodia né armonia e neppure ritmo. Cage dispone semplicemente i suoni–eventi l’uno dopo l’altro e il loro rapporto è costituito solo dalla coesistenza nello spazio.

Indagando i rapporti tra suono e silenzio, Cage arrivò ad eliminare la distinzione tradizionale fra suono e silenzio, sottolineando che i suoni hanno il loro valore come suono soltanto in rapporto con il silenzio che li circonda.

Cage ha paragonato i silenzi allo spazio fra gli oggetti nei giardini rocciosi giapponesi. Proprio dalla presenza delle rocce in quei giardini ci si può rendere conto dello spazio fra esse, così i suoni se ne stanno nella musica perché ci si renda conto del silenzio che li separa.
Pensava che ciò che viene ritenuto silenzio sia in realtà un guazzabuglio di suoni casuali che ci circondano. La distinzione tra suono e silenzio risulta pertanto relativa e non assoluta: la musica si compone di suoni intenzionati, mentre il silenzio consiste di suoni senza intenzione alcuna.

Il lavoro più emblematico nell’ambito della sua “poetica del silenzio” è senz’altro "Quattro Minuti e Trentatré Secondi” (1952), definito da Cage stesso il suo pezzo migliore.
L'esecutore sedeva al pianoforte in silenzio e non faceva assolutamente niente per l’esatto periodo di tempo indicato dal titolo del lavoro, se non alzare ed abbassare le braccia per indicare che il non-pezzo era in tre non-movimenti.
L’intento del compositore era quello di strutturare 4’33’’ di silenzio e il pubblico non doveva fare altro che ascoltare, ascoltare la “musica” che veniva creata dai rumori interni alla sala da concerto (bisbigli, colpi di tosse, scricchiolii vari...), ed anche da quelli che provenivano dall'esterno.
Gli ascoltatori dovevano cioè divenire consapevoli della musica del silenzio.
Durante il primo movimento della prima esecuzione assoluta di 4’33’’ si sentiva il vento che spirava, nel secondo la pioggia, e nel terzo il pubblico che parlottava o si alzava indignato per andarsene.

Con questo lavoro Cage ha voluto dimostrare che il silenzio assoluto non esiste, nemmeno in una stanza anecoica, cioè totalmente insonorizzata, perché anche lì si può comunque sentire almeno un suono: il proprio battito cardiaco.
Il silenzio è dunque da intendersi semplicemente come un rumore di sottofondo.
Cage, con intento quasi provocatorio, sperava di poter condurre le persone alla consapevolezza che i suoni dell'ambiente in cui vivono rappresentano una musica molto più interessante rispetto a quella che potrebbero ascoltare a un concerto. Nessuno, o quasi, colse il significato delle sue affermazioni, anzi i suoi denigratori consideravano 4’33’’ alla stregua di un’ennesima montatura pubblicitaria.
Inoltre questo lavoro, essendo un brano in cui nessun suono è prodotto intenzionalmente, fonde la poetica della non intenzionalità con quella del silenzio ed il suo vero aspetto musicale sono quindi i rumori prodotti casualmente.

Con 4’33’’ Cage ha rivoluzionato il concetto di ascolto musicale, ha rovesciato le cose, ha cambiato radicalmente l'atteggiamento nei confronti del sonoro, invitando ad ascoltare il mondo.
Per Cage l'intenzione di ascolto può conferire a qualsiasi cosa il valore di opera e dunque anche “fare qualcosa che non sia musica è musica”.

Si può infine affermare che per Cage la ricerca del silenzio e la sua valorizzazione assumano un significato insieme metafisico e polemico, che alimenta una sua presa di posizione decisamente anti-antropocentrica - Cage non poteva non disapprovare il culto della personalità - e a questo punto il suo operato trapassa dal piano musicale a quello politico, così che si può considerare il compositore più un filosofo sociale che un musicista.

Note

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Bibliografia italiana minima

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Sitografia ragionata

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Marta Bonoldi - lavoro di classe - a.a. 2004-05

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