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TEMPO, SPAZIO E RITUALE.

di Gianmarco Picuzzi

Abstract
In questa parte si definiscono le coordinate "spazio" e "tempo" nei loro rappporti con la ritualità.

TEMPO, SPAZIO E RITUALE.


"Dal momento che, per definizione, la musica si svolge nel tempo, i rapporti del suono con sé stesso mutano costantemente [...] e tali cambiamenti si iscrivono a vari livelli nello spessore temporale". (6)

Dato che la presenza di una combinatoria di suoni diversamente intonati non
implica di per sé un ambito espressivo musicale e l'assenza di un'architettura
melodica non lo esclude necessariamente, bisognerà ritenere che il tratto distintivo fondamentale dell'espressione musicale va ricercato non tanto in ciò che rende diversi fra loro i suoni, quanto in ciò che li assimila; in altri termini, non tanto nei loro parametri "spaziali" (altezza, timbro, intensità), quanto nella loro comune obbedienza a un'unica e specifica dimensione temporale.

In effetti, é soprattutto il modo in cui i suoni si sviluppano nel tempo e in cui vi si dispongono secondo rapporti relativi di durata a determinare la "musicalità" di un evento.

Si può dunque affermare, come ha fatto notare Rouget, che la musica, per sua
natura intangibile e incorporea, si materializza in una temporalità che le é propria e che la distingue da altre manifestazioni dell'espressività umana.(7)

Non a caso Igor Stravinskij riteneva che la musica avesse soprattutto la funzione di "stabilire un ordine fra l'uomo e il tempo" (8) e vi é stato addirittura chi, come Gisèle Brelet l'ha definita una "speculazione sul tempo inseparabile da un'esperienza del tempo vissuto". (9)

Per quanto misurabile in tempo reale -é questa appunto la funzione del metronomo nella musica colta occidentale- o per quanto possa essere "vissuto" come reale nel corso dell'esecuzione, il tempo musicale soggiace a una logica autonoma e autosufficiente, in virtù di una sistematica relatività dei propri valori di durata.

Per esemplificare tale concetto ci si può richiamare alle vicissitudini di Phileas Fogg ne Il giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne.
Come si sa, convinto di aver viaggiato per ottantun giorni, Mr. Fogg vince comunque la scommessa grazie al fatto che il tempo di Londra, durante lo stesso numero di ore, non ne aveva contati che ottanta.

Questo esempio dimostra l'esistenza di due differenti durate periodiche,
riguardanti il medesimo evento, misurato però da due sistemi diversi: uno fisso (quello di Londra), e l'altro in movimento (quello di Mr Fogg, in quanto, camminando incontro al sole egli ha accorciato il periodo del ritmo giornaliero).

Ciò vale anche per le durate musicali, le quali possono essere misurate in tempo cronometrico e vissute nella relatività loro conferita dal movimento di esecuzione (la melodia di un canto può restare significativamente uguale pur variando la velocità di esecuzione, perché resteranno inalterati non solo gli intervalli di altezza fra i suoni, ma anche i loro rispettivi rapporti di durata).

La rappresentazione del tempo musicale é dunque di tipo percettivo: una porzione di tempo reale diviene musicale dal momento in cui, intenzionalmente, ci si sincronizza in un sistema relativo di durata (ritmo), immettendosi così in una dimensione ciclica che consente di vivere i diversi momenti come unità ripetibili di "tempo presente".

Dal punto di vista antropologico, ci si é interrogati sulle ragioni profonde che hanno spinto l'uomo a costruirsi una dimensione temporale ciclica e autoregolata, in qualche modo alternativa a quella lineare del vivere quotidiano.

La maggior parte delle risposte sembra convergere sull'ipotesi di una sorta di
evasione dall'inesorabilità del tempo, analoga proprio a quella che sirealizza nel rito.

La musica trasforma il tempo reale in "tempo virtuale", sostiene John Blacking (10);
essa "costituisce un mondo a sé con un suo proprio spazio e un proprio tempo", ha osservato Van der Leeuw (11);
e ancora "la musica é una macchina per sopprimere il tempo". (Lévi-Strauss) (12).

La musica si articola quindi nel tempo e qui sicuramente risiede il suo potere.
A differenza delle opere d'arte figurative, che esistono in tutta la loro interezza in ogni momento, e la cui contemplazione non é fondalmentalmente legata allo scorrere dei minuti, la musica viene svelandosi nel tempo trascinando lo spirito in un'avventura in cui si sarebbe tentati di dire che é il tempo stesso ad esprimersi ed ad acquistare senso unicamente alla luce degli istanti successivi, creando in questo modo una struttura temporale che può sincronizzarsi variamente con il tempo del rito.

Non c'é quindi da stupirsi se la musica accompagna un gran numero di rituali costituiti da un insieme di azioni successive, concatenate secondo in dato ordine.

A livello più semplice, così, l'inizio e la fine di una esecuzione musicale possono coincidere con l'inizio e la fine di una performance rituale.

 Ma la musica può anche iniziare prima del rito e finire dopo di esso, includendolo così in una parentesi temporale; oppure essa può venir eseguita in modo per così dire selettivo, nei momenti di maggior densità di significato dell'attività rituale, sottolineando ad esempio i diversi momenti dell'azione religiosa.

La musica può però anche organizzare l'esperienza temporale in forme più complesse.

Il ritmo dei suoni che costituiscono gli "eventi" di una esecuzione musicale può essere notevolmente più lento o più veloce del ritmo degli eventi dell'esperienza quotidiana e questi eventi possono dare vita a modelli temporali inconsueti.

La musica utilizza procedimenti formali quali la ciclicità, la ripetizione, il contrasto, la variazione, lo sviluppo di un modulo organizzato che si risolve in un altro.

Il modulo più diffuso e più comune nella caratterizzazione del tempo musicale é la ripetizione, spesso portata a sconcertanti e noiosi effetti per via della durata della sua realizzazione.

Questo aspetto merita un'analisi particolare, poiché la ripetizione ritmica caratterizza la sequenza rituale in modo talmente frequente e rilevante da costituire uno dei tratti essenziali.

Fin dalle prime ricerche di Francis Huxley, gli etologi hanno riconosciuto alla ritualizzazione una funzione principalmente comunicativa, volta ad "assicurare una maggiore efficacia alla comunicazione, diminuendone l'ambiguità [...]" (Huxley, (13).

La funzione comunicativa della ritualizzazione é stata ribadita anche più
recentemente dagli etologi Lorenz (14) e in particolare da Eibl-Eibesfeldt, per il quale:

"colui che invia il messaggio sviluppa strutture e moduli comportamentali che servono da segnali, e il ricevente sintonizza i suoi meccanismi ricettivi in direzione di questi. I segnali così elaborati sono detti scatenanti. Il processo attraverso il quale i moduli comportamentali acquisiscono la loro funzione di segnale é detto ritualizzazione." (15).

Nella ritualizzazione, quindi, c'é un cambiamento di funzione del modulo comportamentale che si trasforma in segnale.

Quel che conta qui sottolineare é che per svolgere questa funzione comunicativa i moduli comportamentali degli individui che partecipano ad un rituale devono essere vistosi, inequivocabili e nello stesso tempo abbastanza semplici.

Tale scopo, secondo gli etologi, si consegue con "l'esagerazione mimica raggiunta attraverso l'enfasi dell'ampiezza del movimento, la semplificazione, la ripetizione ritmica, la fusione di elementi in nuovi moduli e la vistosità ottenuta con l'aggiunta di strutture ornamentali". (16)

In definitiva, la funzione comunicativa del processo di ritualizzazione si ottiene, come indica Silvia Bonino nel suo libro intitolato I riti del quotidiano, attraverso tre aspetti:

1) la ripetizione di un modulo comportamentale, che assume un carattere ritmico;
2) l'esagerazione della frequenza e dell'ampiezza del movimento, con l'aggiunta eventuale di abiti rituali;
3) la semplificazione e la stereotipia, che comprendono anche il congelamento dei movimenti in posture.


Questa parentesi di carattere etologico mi é sembrata necessaria per sottolineare come nella ritualizzazione umana sia proprio il linguaggio a subire una ripetizione ritmica, che si trasforma sovente in una melodia musicale.

Cosa meglio della musica può allora fornire alla ritualizzazione il carattere ritmico di cui ha bisogno per svolgere la funzione comunicativa di cui parlano gli etologi ?
Inoltre, il carattere ritmico fornito dalla musica produce un coinvolgimento nel rituale che non é solo individuale ma soprattutto sociale.

Infatti, in modo del tutto spontaneo e naturale, il ritmo ha il potere di produrre le medesime reazioni in tutti coloro che lo sperimentano assumendo un carattere e una forza sociale.

A questo proposito Fraisse scrive:

"Questa dimensione sociale dell'esperienza ritmica ha grandissima importanza. Il ritmo percepito, che induceva già una partecipazione del nostro organismo, allena a una vasta sincronizzazione sociale le nostre attività  lavorative e ludiche. Tutte le attività che si socializzano provocano una nuova eccitazione [...] e aumentano le percussioni affettive. Il ritmo conferma questa analisi. Esso occupa perciò una posizione privilegiata, poiché consente all'uomo di muoversi al ritmo delle stimolazioni esterne [...] e di sincronizzare le proprie attività con quelle degli altri in vere e proprie comunioni sociali."(17)

Un caso emblematico é quello dei "canti di lavoro", rilevabili nella tradizione musicale di gran parte delle culture, in cui i gesti ripetivi dell'attività lavorativa (agricola, marinara ecc.) vengono sincronizzati al ritmo e al tempo "relativo" della musica, al fine di alleviare la fatica e rendere meno gravoso il trascorrere delle ore e di sincronizzare all'unisono i movimenti.

In questo tipo di canti la temporalità musicale é dunque il risultato di un compromesso fra tempo "reale" e tempo "virtuale".

Ma la musica non influisce solamente sulla percezione temporale, bensì anche su quella spaziale.

Analogamente al suono della parola, il suono musicale definisce lo spazio in cui mi trovo come uno spazio abitato da uomini, nel quale vengo ad assumere una certa collocazione.

In questo senso la musica può assumere una funzione delimitatrice, in quanto crea una sorta di cornice all'interno della quale l'attività rituale viene esaltata.

Il modo più semplice é quello di stabilire zone di contrasto tra uno spazio/tempo sacro e uno spazio/tempo profano, dei quali soltanto il primo é caraterizzato dalla musica.

La musica più di ogni altra cosa é in grado di riempire lo spazio rituale di una energia tangibile che testimonia l'effettivo realizzarsi di una situazione speciale.

Essa testimonia che qualcosa sta succedendo; che il tempo e lo spazio sono occupati da un'azione in svolgimento, oppure che regna un certo stato d'animo sui partecipanti al rito.

Contribuisce inoltre a mantenere una certa risonanza per garantire la continuità dell'azione in uno spazio da lei stessa delimitato.

Un diverso modo di organizzazione dello spazio e del tempo si ha invece quando i nuclei spaziali e temporali dell'attività rituale, piuttosto che i loro confini, divengono il punto in cui si concentra la musica.

Questo fenomeno si realizza quando essa viene percepita come axis mundi spazio-temporale, come canale di comunicazione con il regno dello spirito e con le età primordiali.

Cantare i canti della "razza dei tamburi" nella religione tibetana Bon, per esempio, serve a rievocare il contatto con gli inizi del tempo e con il centro del mondo.

In altri termini, il punto centrale dell'azione rituale, situato nel mondo fisico, viene talora sottolineato dall'intensità della musica, così come gli accostamenti da quel fulcro vengono scanditi dall'accresciuta o diminuita intensità dei suoni.

La centralità religiosa e musicale del rituale singalese Kohomba Kankariya, per esempio, consiste nel rullo di tamburi, nel canto e nella danza dei sacerdoti; i suoni perdono d'intensità mano a mano che ci si muove verso l'esterno delle file concentriche dell'uditorio che contribuiscono a formar una sorta di muro aperto attorno al centro rituale, guadagnando le vie del villaggio e poi i campi circostanti, che possono essere considerati la porzione estrema dello spazio consacrato.

Il graduale diminuire dell'intensità della musica che promana dal centro serve anche a dare una caratterizzazione spaziale a quel modello rituale imperniato sulla centralità.

Concludendo, si può sicuramente dire che la musica contribuisce all'organizzazione temporale e spaziale del rito: grazie ad essa il tempo e lo spazio vengono architettati dagli individui per soddisfare al meglio le loro esigenze rituali.

Segue: Che cos'è l'antropologia musicale

Note

copiare da 6 a 17

Bibliografia

vedi apposito capitolo

Sitografia ragionata

a...presto!

Gianmarco Picuzzi - Tesi di laurea - 1996
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