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scenario:

"PROGETTO REQUIEM"

Teschio e penna.

La Musica, la Morte, il linguaggio dei compositori
e lo spirito dei tempi.

per il lavoro, a Dio piacendo, degli anni a venire.

Abstract
Si tratta di una idea e di un 'viaggio' da compiere in più anni, e da più classi e alunni, che consente un lavoro di ampio respiro, e di 'ricerca', di apprendimento di 'metodi' e di 'strumenti' di lavoro; mentre vi riflettevo, per una di quelle straordinarie (ma per me tanto ordinarie) sincronicità, usciva un numero di Voice con una incisione inedita, l'ultima, di Giuseppe Sinopoli.
Urgono musicisti come Sinopoli, dalla formazione umanistica ampia, e non solo quella delle sole "tecnicaglie" usuali della musica che si studiano in Conservatorio.
Anche a conferma di necessità ineludibili... che sono nell'aria e che le persone più consapevoli sentono.

“ ...Poiché la morte (a ben guardare) è l'ultimo, vero fine della nostra vita, da un paio d’anni sono entrato in tanta familiarità con quest'amica sincera e carissima dell’uomo, che la sua immagine non solo non ha per me più nulla di terrificante, ma mi appare addirittura molto tranquillizzante e consolante! E ringrazio il mio Dio di avermi concesso la fortuna di avere l'opportunità (lei m'intende) di riconoscere in essa la chiave della nostra vera felicità.

Non vado mai a letto senza pensare che (per quanto giovane io sia) l'indomani forse non ci sarò più. Eppure nessuno fra tutti coloro che mi conoscono potrà dire che in compagnia io sia triste o di cattivo umore. E di questa fortuna ringrazio ogni giorno il mio creatore e l'auguro di tutto cuore ad ognuno dei miei simili...”

Wolfgang Amadè Mozart - frammento di lettera al padre - 1787

Ecco l'incipit dello scritto di Messinis: Canto d'ADDIO - che dice anche [e in una rivista!] di "epoca di separazione dei saperi", un "nostro" argomento, e tenta di spiegare la 'consapevolezza' del grande direttore e le sue chiavi interpretative:

L'ultima registrazione.

Un Requiem diretto a Dresda a due mesi dalla scomparsa. E oggi, dopo cinque anni, l'occasione per ricordare GIUSEPPE SINOPOLI. La sua intenzione di voler mantenere, nella musica, ciò che passa. Come in una speciale archeologia sonora


"UN APPROCCIO UMANISTA, TESO A RITENERE ANCORA LEGITTIMA L'UNITÀ DEL PENSIERO NELL'EPOCA DELLA SEPARAZIONE DEL SAPERE".


Mi sembra ancora di vederlo, quando parlava di Verdi. Quasi si stupiva delle reazioni che gli provocava. Quello che Wagner impiegherebbe tre quarti d'ora a raccontare, analizzare, approfondire, Verdi riesce a comunicartelo in un istante, con una fiammata che ti abbaglia, magari senza la finezza wagneriana, ma con un'efficacia teatrale irresistibile".

Alla Fenice di Venezia e grazie alla direzione artistica di Sylvano Bussotti, aveva esordito, nella stagione 1977-78, proprio con Verdi. Aida: leggila!, gli aveva intimato Bussotti. Si smarrì di fronte a quella che definirà 'la partitura più intimista di Verdi, con quel finale inconcepibile senza la sua scoperta della ritualità della morte nel mondo egizio, vista al Museo di Firenze".

La sacralità della morte, la sua attesa.

Poi, in Italia, il suo Verdi è arrivato solo in disco, proprio mentre i teatri tedeschi e austriaci lo scoprivano come interprete verdiano, amandone la sismografia teatrale, il gesto catastrofico, il silenzio repentino: un Verdi espressionista, capace però di smarrimenti che sgomentano, di introversioni altrettanto radicali. A un interprete creatore chiediamo di svelare, di portare la propria personalità dentro un testo, di proporci punti di vista personali.

Le letture wagneriane non sono state, naturalmente, senza conseguenze nel definire questa interpretazione: hanno schiuso al suo Verdi il senso dell'attesa, dell'accumulo del suono e della sua dispersione, della tensione che, attraverso la dismisura delle dinamiche e dei volumi sonori, tende a non risolvere, a proseguire in dialettica unità di racconto, di mito.

Un passo agitato, che nel Requiem sembra trovare un altissimo punto di definizione; qui si coniugano l'aspetto ctonio, profondamente tellurico di Verdi questo sì estraneo a Wagner; quasi un Sacre melodrammatico e la rarefazione, l'assenza-presenza del suono e dell'azione nell'immobilità lirica. La sua capacità di esprimere 'la forza degli archetipi", la potenza universale e immediata degli affetti, raccontata in tumulti dove emerge la sua formidabile capacità intuitiva e subito comunicativa. In questo Verdi S:

Napoli ritrovava una parte di se stesso: quegli slanci appassionati che erompevano dalla rigorosa struttura del pensiero e delle sue forme.

Terrore e speranza; sillabazione tremante "Mors stupebit" e invocazione "Libera me". E il vuoto, l'abisso che si apre oltre a polifonia delle trombe nel Dies irae, vox clamans verso l'al di là, nel dubbio che appaia soltanto il nulla, che nulla risponda, disperatamente. Bussate, e vi sarà aperto?

Pieni e vuoti, accumuli e trasparenze, fermate nette e brevi. La pulizia dei pianissimi, l'infuocarsi dei crescendo. L'urla invocante del soprano Libera me domine" che oltrepassa il volume dell'orchestra, in un istante in cui il suono diventa luce e lo spazio tempo, cioè tempo interiore, memoria: "Noi siamo la nostra memoria".
Ritroviamo in questa direzione l'intenzione di Sinopoli nel voler mantenere, nella musica, ciò che passa; la sua volontà, culturale prima ancora che musicale, di stratificare il vissuto senza rimozioni. La musica è arte che svanisce mentre appare, però persiste quando è transitata e insiste nei meccanismi della ricezione e del ricordo; si annida poi, lì continua a vivere. In questo progetto, gli studi di psichiatria, di archeologia, di composizione si fanno a mano, rivelandosi tecniche che aiutano a capire.
Un approccio umanista, teso cioè a ritenere ancora legittima, e dunque a difendere, l'unità del pensiero, la sua necessità, così urgente nell'epoca della separazione del sapere, della frantumazione delle competenze, della totalità umana inafferrabile.
[segue in nota]

L'argomento consente dapprima riflessioni sulla Morte, quindi sul linguaggio musicale di un'epoca e di uno specifico compositore, da utilizzare col metodo della *didattica del confronto* poi, cosicché il titolo potrebbe essere, in prima ipotesi, appunto:


La Musica, la Morte, il linguaggio dei compositori
e lo spirito dei tempi.


I Requiem sono in genere dei capolavori, se non 'il Capolavoro' di un musicista, perché, anche incosciamente, lo compone pensando a sé.

Il progetto consente di avere a disposizione del materiale musicale basato su di un testo comune, comprende composizioni entro un ampio arco temporale, oltre a permettere, anche all'interno della mia amata 'didattica del confronto', resa più efficace dalla uniformità del testo, di analizzare quali siano stati i mezzi musicali a disposizione dei singoli compositori, come li abbiano utilizzati, anche in relazione alla concezione della Morte del compositore medesimo, in relazione a quella vigente nel periodo di composizione.

Sarebbe necessario dapprima assemblare qualche testo ben scelto in tema di Morte e di Requiem, ricercare in Rete i siti che se ne occupano (valutandoli nel contempo nella qualità dei contenuti e nella congruenza tra gli stessi e la realizzazione (grafica e dell'interfaccia - I.A.), a partire dalla ricerca del testo del Requiem e di eventuali versioni in varie lingue.

Quindi, nel mentre si riflette sulla Morte e sul testo specifico, realizzare un elenco di tutti i Requiem con uno scritto di contestualizzazione (compositore, concezione sua e dell'epoca, possibilmente in collaborazione con gli insegnanti di Storia della musica), predisponendo materiale per una scheda 'uniformata' i cui contenuti si verranno delineando in itinere.

Una parallela raccolta di esempi musicali nella Rete e di una discografia potrebbe cominciare a farci riflettere sulle diverse interpretazioni (sezione realizzata, ad esempio, con l'aiuto di Gigi Grazioli della Bottega discantica, col quale si potrebbe anche ricercare quali siano state le prime incisioni, di quali Requiem e da parte di chi, da confrontare con le ultime incisioni 'digitali', percorrendo anche questo sentiero in relazione all 'spirito dei tempi').

Si potrà reperire un vecchio 'vinile' da restaurare, e si potrà discutere se il restauro 'commerciale' effettuato su qualche incisione ne abbia tradito le intenzioni interpretative originarie, con la 'sfavillante' tecnologia digitale o le abbia esaltate.

Ad un certo punto, anche sulla base di quello che si è reperito, sarà naturale selezionare quello da porre strettamente a confronto (il Dies Irae e una parte più intimistica?), nelle scelte operate dai musicisti siano essi i compositori o gli interpreti.

Alunni, seguendo le mie 'direttive' realizzeranno anche una sezione dedicata al 'simbolo' e alla sua trasposizione in musica, che permetterà di valutare più esattamente nel merito del linguaggio musicale (del periodo, dell'autore, infine degli interpreti).

Si potranno realizzare analisi musicali di varia natura, da porre in relazione con esempi musicali coi mezzi 'tecnici' che si avranno allora a disposizione.

Possiedo le riduzioni per Canto e piano dei requiem di Mozart e di Verdi, sulle stesse si potranno realizzare analisi armonico-formali nello stile o secondo le necessità scolastiche (esami), nel riflettere su cosa sia, come si faccia, cosa 'renda' una riduzione e, dal momento che ho a disposizione anche delle trascrizioni per Piano solo, sulla differenza tra riduzione e trascrizione (magari realizzando un DB di esempi - Dies Irae e 'parte intimistica' che comprenda parti delle medesime relate alle corrispettive parti delle composizioni originali, con le relative parti musicali e gli esempi audio).

Il confrontare parti 'piccole' è di grande utilità didattica (vedi: 'I tre minuetti').

Questo progetto - aperto e in progress - consente, non da ultimo, di recare ognuno la sua pietra, secondo interessi, competenze e capacità, di lavorare con le note e con le parole, col Web e coi libri, estendendolo anche oltre i confini della classe (nel richiedere anche collaborazioni esterne - per la Bibliografia musicale, ad esempio, laddove non siano presenti in me o negli alunni competenze-conoscenze specifiche) ma anche quello di specialisti o di appassionati [per mettere assieme una adeguata discografia raginata, ad esempio].

Sono evidenti le relazioni - oltre che col tema generale de La Musica e i Riti - coi 'ragionanemti' sul Sacro [e sul Silenzio], venendo a costituire un corpus unico nel suo genere, davvero paradigmatico sia per quanto riguarda il Controeducare che per le tecnologie necessarie della I.U. e per come si fa ricerca e per la ricomposizione dei saperi.

Ne potrebbe sortire anche una ricerca particolarissima anche sull'uso delle pause e dei silenzi [vedi i material già presenti in tema], sia nel linguaggio dei compositori che nelle scelte interpretative.

Alla fine di questo viaggio, nessuno sarà più come prima...

jmp - Valsolda, giugno-luglio 2006

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Seguito dello scritto di Messinis:

Giuseppe Sinopoli moriva di infarto il 20 aprile 2001, mentre dirigeva alla Deutscheoper di Berlino il terzo atto di Aldo. La serata in quel teatro, all'inizio degli anni Novanta, era stato direttore principale Friedrich, regista e sovrintendente alla Deutscheoper nello stesso periodo. Artista stimato, perduto e ritrovato, al punto da progettare insieme quell'esecuzione. Quella sera, per ricordare al pubblico l'amico scomparso e l'intensità del loro affetto, Sinopoli scrisse una dedica che termina con queste parole: Mentre Götz mi accompagna questa sera sul podio, mi sembrerà ripetermi con voce serena e suasiva quanto l'Edipo sofocleo disse alla gente di Colono prima di abbandonare la scena: Tu e questo paese abbiate buona sorte e nella prosperità ricordatevi di me quando sarò morto, per sempre felici. La quiete inscalfibile, sacra, del finale di Aida.

Le prime, clamorose affermazioni in Germania Giuseppe Sinopoli le colse, fin dall'inizio degli anni Ottanta, in Verdi, soprattutto quello dei cosiddetti "Anni di galera": Attila, Nabucco, Macbeth furono i titoli prediletti. Il grande direttore veneziano optava per un Verdi estremistico, spostato verso il fine secolo, con il piacere di antitesi temerarie: un Verdi esasperato e tumultuoso, visionario e accidentato. Risultava evidente che, in quel periodo, rifiutava i rapporti del compositore con i suoi predecessori, Rossini e Donizetti. Sinopoli creava climi arroventati, una enfatizzazione sinfonica che sembrava cresciuta nella Vienna di Mahler e del primo Schonberg. Il pubblico viennese o berlinese amava essere coinvolto in una passionalità viscerale, anche se forse non coglieva come quelle iperboli prorompenti fossero pensate dal direttore al calor bianco di uno strutturalismo maturato nella frequentazione delle avanguardie storiche. Si pensava a qualche raro antecedente, forse all'Ernani di Dimitri Mitropoulos.

Se con un simile atteggiamento il primo Verdi risultava eterodosso e perfino arbitrario, nell'Aida e nella Messa d Requiem Sinopoli creava un'affascinante idea cosmopolita; non ha mai creduto nel barilliano "odor di cipolla" e nelle insorgenze nazional-popolari; nella Messa stringe ancora i nessi con mondo austro-tedesco, senza esaltare però enfaticamente i contrasti, ma per proporre un colloquio impressionanti con i defunti. Non ci sono più gli "effetti senza causa" della giovinezza: in quest'ultima prova discografica (l'esecuzione inedita di Classic Voice risale a qualche mese prima della morte) Sinopoli offre una maestosa lettura verdiana, che forse non ha precedenti nella lunga storia esecutiva dell'opera I tempi sono più dilatati del consueto, la dizione sinfonica si muove tra il Requiem tedesco di Brahms e il Crepuscolo degli dei di Wagner. La volontà di indirizzare l'asse interpretativo verso l coeva cultura d'Oltralpe contribuisce ad arricchire il linguaggio compositivo e le aperture "europee" della Messa.

Ne risulta una monumentale architettura, ove gli ardori soggettivi della giovinezza sono attenuati a favore di una passionalità quasi speculativa. Nell'ultimo decennio Sinopoli aveva ulteriormente approfondito il pensiero tedesco, da Schopenhauer a Freud, e nel Verdi della piena maturità scopriva un'idea trascendentale nelle terrestri cupezze: un viatico solenne che dai gorghi notturni ascende verso l'empito pacificato dell'epilogo, liberando gli artifici contrappuntistici dal peso accademico attraverso una pensosa teatralità. Questa versione emerge nello scavo del mistero liturgico: si pensi all'apertura esasperata nella dinamica con pianissimi carichi di tensione. L'imponente polittico del Dies irae è sentito con pienezza drammatica e strutturale unità. Peraltro non tutta l'esecuzione si appaga della categoria del grandioso: affiorano talora anche cantabilità distese (come nelle "lunghe" melopee del Lacrimosa) o nostalgie liederistiche quasi brahmsiane. La severità pre-decadente di Brahms e le voragini demoniache del tardo Wagner confluiscono in questa concezione attribuendo al Requiem singolari prospettive cosmiche: le apparenti "infedeltà" sono ben più vicine al mondo di Verdi delle ripetitive "fedeltà". Sinopoli dirige la sua orchestra e il suo coro di Dresda con esiti di rara compattezza e verità strumentale. I solisti vocali sembrano usciti dal tardo romanticismo melodrammatico: il direttore ha sempre prediletto, anche nell'opera lirica italiana, voci di corporea densità, estranee ai ripristini ottocenteschi. Questa interpretazione suona quasi come un congedo del maestro dall'arte del dirigere: testimonianza massima di un'idea musicale alimentata da vaste esperienze culturali, in cui la moderna ricerca analitica convive con la reviviscenza della tradizione romantica: memoria di un fraseggio quasi estinto della vecchia scuola tedesca.

L'esecuzione di questa Messa da Requiem è dunque una delle sue estreme testimonianze esecutive. La registrazione è avvenuta il 13 e 14 febbraio del 200 a Dresda, in un concerto destinato alla raccolta di fondi per il completamento del restauro della Frauenkirche, la chiesa simbolo della città demolita dai bombardamenti subiti nell'ultima guerra.

Sinopoli dirigeva la Sächische Staatskapelle di Dresda, e il coro della Semperoper dal 1992; un rapporto che, dopo nove anni, proseguiva intenso e reciprocamente creativo. Concerti, cicli, incisioni, tournée; ma prima di tutto la serietà e l'amore per il lavoro, per il proprio mestiere.Quando si doveva fermare a Dresda per lunghi periodi consecutivi, Sinopoli contava le ore di sole che riusciva a vedere: 'ln due mesi, sette!". Per lui, veneziano che considerava "autentica terra natale la parte orientale della Sicilia, che ancora oggi misteriosi legami uniscono con l'originaria cultura degli antichi greci", era una grande rinuncia. Tollerata grazie all'eccellenza del lavoro comune, del quale non si vedeva avvicinarsi l'interruzione. E la sua orchestra così vuole ricordarlo: Malgrado il passare del tempo rimane in noi la sensazione di un vuoto incolmabile. E ancora viva in tutti noi, oggi come ieri, la sua assoluta dedizione alla musica, l'intensità con la quale compiva suoi doveri, l'altissimo livello del suo lavoro artistico, la completa identificazione con la 'sua' orchestra. Ricordiamo la sua eccezionale energia spirituale che sapeva trasfondere nei concerti, nei progetti e la sua instancabile capacità nel trovare partner e nell'entusiasmarsi per raggiungere sempre nuovi traguardi. Non dimentichiamo la sua prorompente voglia di vivere che comunicava a tutti coloro che gli stavano accanto e ci manca la sua vicinanza umana perché di molti dei suoi musicisti era amico e confidente. Quando arrivò alla Staatskapelle era, come diceva lui stesso, 'alla ricerca dell'umano nella musica e nel fare musica'. Spesso ribadiva di aver trovato tutto questo con i suoi musicisti di Dresda. Sempre di più ci restituiva quel che da noi riceveva e noi lo ricordiamo con affetto, rispetto e gratitudine".

Per il suo volume, le esigenze musicali ed il carattere, il Requiem oltrepassa l'ambito della messa ed è pensato per un grande pubblico in una sala da concerto. Ma ricordiamo: un compositore della statura di Giuseppe Verdi non si sarebbe impegnato in questo modo per un testo come quello del Requiem se non avesse sentito dentro di sé il bisogno, l'urgenza di dire la sua parola Verdi considerò il Cristianesimo il fondamento del suo modo di vedere la vita. Certamente non fu religioso nel senso dogmatico, né diede importanza agli insegnamenti della Chiesa, né mai rivelò tendenze bigotte o ascetiche (e non di rado la moglie Giuseppina glielo rimproverò!). Agire per lui fu sempre più importante delle professioni di fede. Ma nelle sue composizioni d'opera, alcune scene di preghiera, nella loro intensità, rivelano forse più che una mera strategia teatrale. (...) Visto che Verdi si sentì colpito personalmente dalle parole del testo della Messa, si rivolse al pubblico con la stessa immediatezza. Tutta l'ampiezza e la profondità dei sentimenti umani dolore, lamento, tristezza, paura, coraggio, forza, nostalgia,gioia, speranza, conforto Verdi le seppe riprendere con i mezzi della sua arte. Non a caso sono i solisti le singoli voci umane a dominare l'insieme sonoro attraverso una gran parte dell'opera. Il coro e l'orchestra però, con le loro vaste possibilità, caratterizzano ugualmente l'espressione scioccante, eccitante, introversa, e la rendono gran de Verdi, da grande drammaturgo, tende a una intonazione del testo completamente personale, spiccata, piena di senso e di efficacia Ma nello stesso tempo s'inserisce nella grande tradizione della musica sacra italiana Non mancano né la grande arte polifonica, né le reminiscenze del canto gregoriano e dei salmi. D'altra parte si riconoscono anche la melodia espressiva e la drammaticità del Verdi operista, la sua arte nel plasmare un'armonia raffinata e caratterizzante, un suono vivo, parlante e colorito, una dinamica differenziata e piena di sottigliezze, un ritmo scandito con energia.
[Dal testo scritto in occasione del Concerto per la Frauenkirche di Dresda - 13,14 febbraio 2001]
MARIO MESSINIS


Note

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Bibliografia italiana minima

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Sitografia ragionata

Il sacro e la morte, di Salvatore Natoli. [Link al sito RAI]
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Joanne Maria Pini - progetto per il lavoro di classe - giugno-luglio 2006
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