MUSICA E MITI COSMOGONICI
di Alberto Cesare Ambesi
Abstract
Musica e miti cosmogonici: è questa una connessione antica, codificata dalla sapienza esoterica sotto svariate forme, frequentemente non prive di dati empirici o di dimostrazioni di tipo matematico.
Eppure, ai giorni nostri, la stragrande maggioranza dei musicisti e degli astronomi non vuole più dare alcun credito a questa prospettiva, forse proprio perché essa ha il potere di allacciare la sfera metafisica agli innumerevoli piani del mondo fenomenico: dai più spirituali a quelli densamente materici.
MUSICA E MITI COSMOGONICI
Può essere interessante quindi, rivedere in quali termini l'arte musicale partecipa al Grande Ordine dell'Universo, grazie a mitiche ragioni e a talune leggi formali. A tale proposito osserveremo, primariamente, che, con accentuazioni diverse, tutte le grandi cosmogonie tradizionali sono concordi nell'indicare che la sfolgorante nascita dell'Universo avvenne, perché sulle acque prime del Caos si produsse un ondeggiamento, una scansione ritmica, per cui l'Uomo che si impadronisce del «suono» dà vita ad un incantesimo che, a seconda della sua potenza, lo porrà in sintonia o con il primigenio evento sonoro e con uno dei ritmi che da esso sono derivati. Il che significa, in altre parole, che, a seconda della propria spiritualità, il compositore potrà entrare in contatto con i più diversi piani cosmici; perciò, vi saranno per sempre musiche nelle quali parrà di udire il ruggito degli Dei; altre che consoleranno con voci angeliche o che esalteranno le passioni umane ed altre ancora che ci parleranno con il linguaggio delle potenze ctoniche, per non parlare di quelle composizioni, il cui fascino sta unicamente nel richiamarci ad una frenesia del tutto istintiva e quindi regressiva verso il mondo animalesco.
Come si comprenderà, in un simile contesto, la volta celeste assume un ruolo che è anche significante sotto il profilo musicale, in quanto la disposizione delle stelle, i transiti dei pianeti e i movimenti di tutti i corpi cosmici appaiono regolati secondo proporzioni e tensioni che rappresentano indubbiamente una delle manifestazioni prime dell'evento ritmico originario e a esso ci riconducono, grazie alla loro strutturazione che possiamo ben definire sinfonica e diafonica, nel pieno significato di tali vocaboli. Visione che fu già indicata da Schelling, quando scrisse che: «Pitagora, nel parlare dell'armonia delle sfere, non affermò mai che il movimento dei corpi celesti facesse udire una musica, bensì era esso stesso una musica... » e non a caso, secoli prima, Paracelso aveva proclamato che: «la pietra angolare di ogni verità è l'Astronomia, che è madre di tutte le altre arti».
Naturalmente, la contemplazione del cielo stellato e la comprensione puramente intellettuale degli schemi che similmente presiedono alle costellazioni sonore e al firmamento non bastano a garantire al musicista e tanto meno all'ascoltatore un pieno contatto con le sfere del Sublime: occorré infatti che il compositore giunga ben preparato al colloquio con gli astri (si veda, in proposito, il nostro articolo «L'essenza magica del linguaggio musicale», altrimenti non saprà andare oltre a quelle che sono le leggi estrinseche dell'Universo. Ad esempio: la constatazione che la «frequenza», l'«ampiezza» e la «forma» di un moto vibratorio fonico trovano corrispondenza nel moto dei pianeti sulle relative orbite (così Giorgio Abetti e Giovanni Godoli puntualizzavano su un vecchio numero di «Musica d'Oggi» per la precisione del novembre 1959 sottolineando che un pianeta «ruota con una certafrequenza su un'orbita ellittica di determinato asse ampiezza e determinata eccentricità forma »), simili paragoni dicevamo non significano proprio nulla, presi in sé e per sé, e difatti gli autori suaccennati concludevano il loro articolo suonando campane a morto per qualsiasi concezione che riproponesse l'apparentamento di astronomia e musica, da loro spregiativamente qualificato come «mitico».
Ma una volta accertato che il Mito è ben lungi dal costituire un rifugio «per l'intelligenza incapace di comprendere» (ma è possibile che vi siano ancora uomini di cultura che vogliono ignorare i risultati degli studi mitologici di uno Jung, di un Eliade, di un Kerényi e un van der Leeuw?) ne consegue che laddove si incontreranno analogie tra il mondo musicale e quello fisico, tali coincidenze dovranno essere interpretate in termini trascendenti, sulla base di quanto raccomanda la «Tavola smeraldina» con la famosa affermazione: «Così è in basso come in alto e il superiore somiglia all'inferiore, per il miracoloso compimento della cosa unica»: la trasformazione dell'Uomo in un Illuminato, aggiungiamo noi.
La musica insomma, tramite un'apertura a influenze astrali, può divenire il veicolo per eccellenza, grazie al quale ci si eleva dai turbini del cuore al dialogo con gli aspetti visibili e invisibili del Cosmo, sino a giungere infine come affermò il mistico sufi AbulHusain alDarraj «a trovare l'esistenza della verità al di là del Velo».
Cammino questo che abbiamo ora delineato che non è privo di pericoli, in quanto si richiede al musicista di riimparare a pensare miticamente, ciò che significa recidere o modificare fortemente l'assetto di una psiche moderna, allo scopo di restaurarvi l'ancestrale equilibrio. Ma una volta portata a compimento un'operazione del genere, i cui effetti possono essere prolungati o richiamati in azione, più o meno facilmente, le esperienze spirituali che ad essa fanno seguito risultano sempre indimenticabili e a volte sconvolgenti.
Considerazione che idealmente si collega a certe simboliche figurazioni di soggetto alchimistico, come una delle tavole dell'Anfiteatro della Saggezza Eterna (1906) di E. Khunrath, rappresentante un laboratoriooratorio di uno degli adepti dell'Ars Regia, effigiato in preghiera sulla sinistra dell'illustrazione, mentre in primo piano, poggiati sudi un tavolo, possono scorgersi vari strumenti musicali ed uno spartito, cui fa da corona la strumentazione aichemica vera e propria: segno indubbio che l'essenza del segreto, cui hanno diversamente alluso il moderno compositore e gli antichi discepoli di Ermete Trismegisto, sta tutto nel provare e riprovare a decantare svariate «sostanze» fino a che il cielo non sia propizio a lasciar rifulgere l'oro spirituale della nostra anima.
Alberto Cesare Ambesi - da I simboli del rito [1989] - Carmagnola, Arktos-Oggero Editore - per concessione dell'Autore e delle'Editore - novembre 2006. Torna in alto